venerdì 27 aprile 2007

Sangue a West Hollywood - I

di Daniel Bloom

I - II- III - IV - V - VI

Quella dannata estate non si decideva a finire. Era quasi ottobre e quel maledetto caldo continuava a soffocarmi. Los Angeles era un inferno. Le giornate sembravano sempre più lunghe e il mio ufficio sempre più piccolo. Erano giorni che non mi radevo. Dalla scrivania spuntavano impilate una decina di bollette non pagate, una bottiglia di bourbon vuota e un vecchio giornale ingiallito di chissà quanti mesi prima. Sfogliai il calendario ebraico che avevo comprato da dei giovani lubavitch davanti a una sinagoga nel West Hollywood. L’ultima volta che ero entrato in un tempio era stato per il mio bar-mitzva.
Guardavo il calendario con quegli strani caratteri di cui ormai non ricordavo più il significato. In rosso era segnato kippur. Kippur, il giorno dell’espiazione, quale espiazione? Ormai erano diventati tutti i miei giorni un’espiazione.
Da quando ero stato buttato fuori dalla polizia con l’accusa di corruzione non me l’ero passata un granché bene, quel dannato ufficio di investigazione private non mi stava portando a niente, sempre la solita routine, mariti gelosi, figli scappati di casa, vecchie alla ricerca del loro gatto, casi da 50 dollari a botta, non ci facevi nemmeno una scopata come si deve.
Misi i piedi sul tavolo e mi allentai la cravatta già allentata, mi guardai i mocassini, avevano visto tempi migliori.
Presi il giornale ingiallito e lo aprii. Tutto già visto, la politica, la cronaca, le facce imbalsamate, le camice inamidate, i sorrisi, le pacche sulle spalle, le strette di mano vigorose di qualche candidato alle presidenziali a qualche negro compiacente. Sempre la solita storia.
Sembrava che in quella dannata città nessuno avesse più bisogno di un investigatore, erano settimane che non entrava nessuno da quella porta a vetri.
Continuavo a sfogliare distratto le pagine della cronaca quando mi fermai improvvisamente sulla fotografia di un omicidio. L’articolo parlava di Peter Landley, il nome mi risuonò in testa come un fulmine: Peter Landley, età 37 anni, era stato trovato morto in fosso vicino all’Hollywood Boulevard. L’articolo parlava di un regolamento di conti. Me lo ricordava bene Landley, il classico scagnozzo, un pesce piccolo. Tipo nervoso, quando ero ancora in polizia era uno dei miei informatori. Prima o poi avrebbe fatto quella fine. L’ultima volta che l’avevo visto era vestito di tutto punto, un po’ troppo sopra le righe per un perdente come lui. Aveva proprio l’aria di uno che si era infilato in un giro troppo grosso per il suo metro e settantacinque.
Los Angeles era piena di quei disperati che rosicchiano le briciole avvelenate dei pescecani.
Erano quasi le cinque e mezzo, i minuti passavano come ore. Mi ricordai che proprio in quel giorno cadeva l’anniversario del mio divorzio, ancora non riuscivo a non pensare Miriam, fra tutte le sconfitte che avevo accumulate in quei maledetti anni quella era la più pesante, piantato in asso dal mattino alla sera per un bellinbusto in doppiopetto dall’accento italiano.
Miriam, dolci occhi da cerbiatta, fisico esile, aria smarrita una di quelle donne da cui tenersi lontano. Lo avevo sempre saputo.
L’odore degli springrolls dal ristorante vietnamita all’angolo stava salendo, era l’ora di andarsene, anche per quest’oggi niente casi, niente dollari, niente di niente.
Mi rimisi la giacca e il cappello mi fermai un attimo a guardare fuori dalla finestra, Los Angeles, un vero immondezzaio, una discarica umana di depravati, puttane, tossici e papponi. Dio quanto odiavo questa città. Mi ci sarebbe voluta una bella vacanza.
Ero ancora fermo alla finestra quando vidi dal vetro fermarsi una cadillac davanti al portone d’ingresso. Due tipi poco raccondabili escono dallo sportello anteriore, da quello posteriore vedo uscire una donna. Neanche il tempo di realizzare che diavolo stava succedendo che sentii un' eco di tacchi dirigersi verso la porta del mio ufficio.
Quello scalpitio non prometteva niente di buono.
La porta si spalancò, una rossa con un impermiabile bianco mi si materializzò davanti.
- Boreinstain?-
Accennai un si’.
La squadrai da capo a piedi, era alta uno e settanta circa, non arrivava ai trenta, fare deciso e un brillante al dito. Poteva essere indifferentemente del Midwest come del Nord, una cosa solo era certa, aveva l’aria di essere una di quelle donne partite dal niente e arrivate in alto usando gli artigli.
- Vedo che anche lei è di poche parole, bene; il mio nome è mrs Surtron, Jennifer Surtron. La contatto perché mi ritrovi un certo oggetto che ho, diciamo, smarrito -
-…Forse ha sbagliato indirizzo questo, non è un ufficio oggetti smarriti.-
- So bene la differenza fra un ufficio oggetti smarriti e un investigatore privato.-
Mi tolsi il cappello e mi rimisi a sedere, questa volta non si trattava di vecchiette alla ricerca del gatto.
- Mr.Boreinstain, mi è stato sottratto un diario, lo devo riavere ma non voglio clamore -
- Un diario, interessante…un diario di ricette della nonna? O di poesie?-
- Questo non la riguarda…-
-Signora, trovare diari non è il mio forte e comunque la mia tariffa è di 50 bigliettoni al giorno più le spese, due giorni anticipati -
- Non è un problema -
Aprì la sua borsetta di coccodrillo e tirò fuori due biglietti da cinquanta nuovi fiammanti e li gettò sul tavolo. Quei dollari luccicanti non mi fecero una bella impressione, se c’era una cosa di cui avevo imparato a diffidare ormai da tempo erano le banconote nuove di zecca.
-…Come le ho già detto non voglio clamore, non voglio giornalisti, non voglio piedipiatti in questa storia..-
- Niente piedipiatti e ficcanaso, ok. Mi tolga una curiosità, chi le ha dato il mio nome? -
-..Forse non se ne è accorto ma il suo nome è sull’elenco ed è il primo mr Boreinstain. Devo andare mi farò risentire a breve e un consiglio… si faccia la barba -
Come era venuta se ne era andata. Rimasi nel mio ufficio ancora un po’.
Quella storia puzzava lontano un miglio, perché mai una donna come quella si era spinta fino alla periferia di L.A. per un diario smarrito? Dove aveva preso il mio nominativo?
C’era del marcio. Nella stanza era ancora presente il profumo pungente della donna.
Mi accesi una Pall Mall per riportare un po’ d’ordine. Misi i soldi in tasca. Quella sera mi sarei fatto finalmente una buona bevuta.

2 commenti:

filsero ha detto...

Un primo capitolo niente male, Daniel . Anzi, dannatamente niente male. Sembra davvero di leggere Chandler, anche se mentre leggo mi immagino Woody Allen che si atteggia a Marlowe :-)

Anonimo ha detto...

Le parodie intelligenti sono ironici momenti di riflessione, che presuppongono acute osservazioni sul modo di fare ed essere di un personaggio.
Sul blog Avanzi, Kioman ha postato le sue "osservazioni considerate" e il suo punto di vista è particolare, come quello di ognuno.