di Enzo Fileno Carabba
C’è chi pensa poco e chi non pensa affatto. Ma esiste una terza via: pensare raccontando.
È una via antichissima. A prima vista sembra facile. Ma è un’illusione. In questo mondo sovrailluminato e superaccessoriato, dove tutto sembra a portata di mano, a disposizione, questa via può diventare impossibile perfino imboccarla. Ci sono nove porte invisibili da varcare.
La prima è riuscire a vedere le cose. Le persone per lo più vedono le cose nella loro testa, le vedono automaticamente, senza più bisogno di guardare. Ma quel tipo di sguardo si acceca quando dalla testa si tenta di travasarlo nelle parole
La seconda è riuscire a scivolare dentro a se stessi fino a scrivere cose che non si pensava di poter scrivere. Credo che questo accada soprattutto quando si raggiungono ricordi dimenticati.
La terza è uscire da se stessi, come degli sciamani, smettere ogni tanto di dire io, per entrare in teste lontanissime.
La quarta è costruire una storia non solo partendo da frasi che ci paiono belle e intelligenti, ma anche da frasi brutte e stupide. Che però – magari – messe insieme fanno il miracolo.
La quinta è compendere che la scrittura può partire come uno sfogo, ma poi deve diventare una architettura con un inizio, un centro e una fine.
La sesta è che il tono di voce del narratore è forse l’invenzione decisiva. Dal tono, che aleggia sulle acque delle parole, nasce il mondo.
La settima è cercare di non capire troppo. La maggior parte delle persone quando iniziano a scrivere “sanno troppo” e trasmettono questa consapevolezza ai loro personaggi fino a soffocarli.
L’ottava è il valore sella svagatezza.
L’ultima porta è quella del valore più alto: la speranza. Perché alla fine ognuno scrive come gli pare, per fortuna, e questo sgretola le porta precedenti.
martedì 3 aprile 2007
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Per non saper né leggere né scrivere - Le nove porte |
martedì 27 marzo 2007
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Della scrittura sboccata! Perchè lo scrittore e il lettore non sospendono il giudizio |
Ho visto alcuni commenti ad uno dei miei racconti: Legittima difesa! E' vecchio e l'ho pubblicato (era già su Femminismo a Sud) proprio per vedere che tipo di reazioni suscitava. Mi sembra che abbia sconvolto i lettori. L'ho letto in pubblico e anche lì ha sempre suscitato sentimenti fortissimi e opposti.
Mi rendo conto che in questo caso non conta più la forma, la tecnica (che pure sicuramente non è perfetta). Conta l'argomento. Conta il contenuto. Contano le parole. Perchè al di la' di ogni bella storia che possiamo raccontarci sulla buona letteratura poi alla fine conta soprattutto l'abilità di emozionare o indignare o sconvolgere. Oppure conta il fatto che ci si misura sempre con degli enormi pregiudizi. Questo mi dimostra che sia quando siamo scrittori che quando siamo lettori siamo sempre politicizzati. Siamo pieni zeppi di pregiudizi e di chiusure morali. Una storia come quella che ho scritto può far venire fuori commenti come: "poteva essere scritta in modo più discreto, meno sboccato. poteva giocare con ipocrisie e eufemismi. poteva usare più stile..."
tutto questo, secondo il mio umilissimo parere, altro non è che un modo per mascherare, dissimulare la brutta sensazione che ci deriva dal sentirci disturbati, feriti a sangue, aggrediti, violentati. Anche le parole possono essere violente. Anche le parole possono "sfondare" (e uso sfondare piuttosto che oltrepassare apposta) il velo del moralismo, dell'ipocrisia, del pudore, del perbenismo, di certo buonismo, di un concetto virginale e opaco del fare e del recepire letteratura.
Una letteratura "perbene" per gente perbene. Una letteratura pudica per gente pudica. Una letteratura ipocrita per lettori impauriti, terrorizzati dall'idea di poter leggere svelata, spiattellata, una verità cruenta che non vorrebbero mai fosse rappresentata con parole altrettanto cruente.
Adoro le sottigliezze. Amo infinitamente forme acute dello scrivere. Temo però che la letteratura ci stia educando malissimo. Che abbia inflitto a ciascuno di noi la condanna della censura e dell'autocensura. E' una proposta di dibattito. Per non scivolare in un conformismo opposto. Per invitare a non storcere il muso dinanzi ad esercizi letterari boccacceschi. Perchè non si liquidi tutto come "questioni di stile" o "questione di gusti". Quello che per alcuni è "pessimo gusto" per altr* può sempre essere qualcosa di "diverso, non scontato, a volte originale". Parliamone senza sentirci all'Accademia della Crusca :)
martedì 13 marzo 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - Non essere stanchi |
di Enzo Fileno Carabba
Quando ho cominciato a tenere corsi di scrittura non sapevo a cosa andavo incontro. Ho imparato molte cose. Di solito uno, senza rendersene conto, frequenta persone simili a lui. Per esempio persone che hanno in comune il fatto di aver preso il treno, qualche volta, o persone più o meno convinte che i libri siano una splendida cosa, o persone che non vengono picchiate spesso. Invece tenendo corsi in tante scuole diverse, in tanti ambienti diversi, ma molto diversi, ho incontrato ragazzi sapienti, ma anche ragazzi i cui contatti coi libri sono veramente minimi. Ho incontrato ragazzi che vanno in deltaplano ma anche ragazzi - non pochi - che non hanno mai preso il treno, oppure non sono mai stati a Firenze pur vivendo a pochi chilometri da Firenze.
Infatti non è vero che nella nostra era tutto è più vicino e più veloce. Ci sono barriere enormi. E non parlo di ragazzi che, in qualche sperduta catapecchia, vengono travolti da bombe democratiche, ma di ragazzi molto vicini a noi, in termini di chilometri.
Io spesso porto cassette con film che hanno come protagonista Dracula. Il ragionamento è questo: vedere come una storia che tutti conoscono viene affrontata nel libro e nei film. Ma una volta sono andato in una classe in cui nessuno conosceva la storia di Dracula, a parte la versione comica di Aldo Giovanni e Giacomo (peraltro pregevole) e una pubblicità in cui compare un vampiro. In compenso quando ho interrotto la cassetta ed è apparso il Tg2 in diversi si sono messi a urlare: "Tg2 Tg2!" come riconoscendo una divinità tribale. Lo so che sembro cattivo, solo che è andata così.
Ho sfiorato vite belle e terribili. Ho fatto lezione a ragazzi che, appena arrivati da paesi lontani, non so cosa capissero di quello che dicevo.
Non è detto che le scuole dove il livello culturale è più alto siano anche le scuole da cui escono i racconti migliori. Non sempre. Per scrivere bisogna scommettere, osare, lasciarsi andare, produrre scintille. Se giudichi con troppa intelligenza è la fine, quello che scrivi si ferma, smette di respirare, muore. Non è facile. Questo coraggio può essere liberato dall'esterno, ma cova nel cuore dei singoli.
Quando andavo a scuola come alunno, a parte che mi sembrava non sarebbe finita mai, ero colpito dal fatto che molte persone erano sempre stanche e ritenevano di ricevere, dalla vita, molto meno di quanto meritavano. Questo valeva sia per i professori che per gli alunni, dato che come si sa si influenzano a vicenda, a volte in modo miracoloso, altre volte in modo devastante. Sarà la scuola, pensavo. Oggi so che non è così. Dopo, molti continuano a essere stanchi e scontenti: per il lavoro, o per la mancanza di lavoro. O per questo, o per quell'altro. E così via per tutta l'esistenza. È una costante universale, e coloro che nonostante tutto, caparbiamente, si sottraggono a questo modo di percepire la vita sono - ai miei occhi - dei piccoli eroi.
Io per parte mia, nonostante sia passato molto tempo, sono ancora così sollevato che la scuola sia finita che il mondo mi appare in una luce meravigliosa.
L'importante è non essere stanchi.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
domenica 25 febbraio 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - Produrre energia |
di Enzo Fileno Carabba
La lettura e la scrittura hanno a che vedere con l'energia. Nel senso che ci vuole una grande energia, per scrivere un racconto, bello o brutto che sia. E ci vuole energia (meno, ma ci vuole) per leggerlo. Anche nel senso che il fatto di scrivere e leggere estrae da qualche territorio sepolto della tua mente risorse che non sapevi di avere. In un certo senso non le avevi proprio, prima di metterti a scrivere o a leggere. Non è che le consumi, le produci. Quando la cosa funziona, si genera una forza nuova, profonda, insospettata.
In generale, non mi sento certo nella condizione di dire "ragazzi, si scrive così e così, punto e basta". Nessuno può farlo. Non esiste una tecnica universale, non esistono le Dodici lezioni per scrivere di bene in meglio. Ce ne vogliono almeno tredici.
Io poi non cerco nemmeno di dire cose intelligenti sui testi. Magari non ci riuscirei neanche se lo volessi. Ma non voglio. Perché non è così che funziona. Funziona quando riesci a creare un clima per cui le persone scrivono, anche a forza di dire scemenze, al limite.
La premessa di ogni discorso su lettura e scrittura coincide con la conclusione: la libertà. Con questa alta parola intendo semplicemente significare che, alla fine, ognuno deve leggere quello che preferisce e scrivere come gli pare. Ma per avere delle preferenze quel tipo deve prima sapere che la lettura e la scrittura esistono, e che non è vero che chi legge o scrive lo fa perché non ha successo con le ragazze o con i ragazzi (incredibilmente, molti lo pensano).
C'è una cosa che come tutte le cose importanti sembra banale. Riguarda la capacità di plasmare quello che si scrive, soprattutto riguarda la disponibilità a farlo. È questo il cammino da tentare: lavorare sui racconti, convincendosi che non si è se stessi solo durante la prima stesura - come misteriosamente pensano i più - ma si è se stessi anche durante la seconda stesura. A volte alla nona stesura si è ancora più se stessi di prima. Ma in un modo diverso, nuovo, soprendente. Io credo che questa disponibilità al lavoro conti più del risultato finale: perché indica l'apertura verso possibilità sepolte.
Scrivendo puoi entrare sempre più dentro te stesso, ma puoi anche immaginare altre vite, puoi balzare nella testa di qualcun altro. E non è detto che le due vie non coincidano.
Sceivere è un lavoro lento, richiede concentrazione, e in un mondo dove tutti vogliono affannosamente far sapere di esistere, velocemente, a qualsiasi costo, è una bella sfida. Credo che sia un esercizio di forza e umiltà, anche se a volte può sfociare nel narcisismo.
Per quanto la partenza di un racconto possa essere dolorosa e terribile - intendo l'esperienza che ci sta dietro - il punto d'arrivo, se la magia riesce, è sempre l'energia e la vita.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
mercoledì 17 gennaio 2007
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Questioni di metodo: Cerco materiali e storie per scrivere un romanzo! |
Non scrivo un racconto e non condivido una trama. Lo farò presto, spero. Però vorrei condividere con voi la mia modalità di lavoro.
Sto tentando di scrivere un romanzo. Uno di quelli che si ha in mente di scrivere da tanto e però non si sa come fare e da dove cominciare. Ebbene: ho iniziato e dopo la prima pagina, che certamente stravolgerò, mi sono fermata perchè ho capito una cosa fondamentale (e qui viene fuori un altra questione tecnica o pratica della narrazione: il reperimento dati e le informazioni legate al racconto): non ne sapevo abbastanza della materia di cui stavo parlando. Ovvero sapevo quello che riguardava me. Una visione parziale che con molta difficoltà può essere spunto di un romanzo compiuto, in cui parlano più voci, all'interno del quale sopravvivono personaggi di ogni genere, che parlano linguaggi diversi ed esprimono modi diversi di pensare relativamente ad ogni cosa.
Mi serviva perciò sapere qualcosa di più su quello di cui io ho voglia di raccontare. In questo caso cerco materiale, documenti, storie, racconti, testimonianze su qualunque situazione in cui esiste, si intravede, è chiaramente visibile, c'e' traccia di aggressività al femminile e/o di bullismo al famminile.
Qui e qui potete trovare spunti sulla materia per capire di cosa parlo. Ma le domande sono semplici: avete sorelle, madri, amiche, datrici di lavoro, colleghe che qualche volta si comportano un po' male (è un eufemismo) e hanno atteggiamenti di esclusione, ostracismo, bullismo, mobbing, calunnia, cattiveria, astio, ostilità, aggressione indiretta o diretta? A voi stess* è capitato di essere (maschietti e femminucce) parte (da leader o spettatori o complici) di progetti volti a danneggiare fisicamente o psicologicamente qualcun*?
Che ne pensate del metodo? Avete storie da raccontare? Io potrei raccontarne a voi perchè siano spunto per vostre narrazioni. Ditemi...
domenica 26 novembre 2006
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Funzionalità e referenzialità nella narrazione |
"La questione è involontariamente, quanto magistralmente posta nelle parole di un autore dalla composita esperienza letteraria, Daniel Pennac. *Alessandro Perissinotto, Gli attrezzi del narratore, BUR - Holden Maps"Per ovvio che sia, conviene dunque ribadire che una buona narrazione si basa su un equilibrio delicato tra le sezioni funzionali (quelle dove «accade qualcosa») e le sezioni referenziali (quelle che fanno da «contorno», da «sfondo» e da «approfondimento» dei fatti): far pendere la bilancia in maniera troppo marcata dalla parte della funzionalità significa […] costruire dei semplici elenchi di fatti privi di giustificazioni sociali e psicologiche (un po' come avviene nei peggiori film d'azione); al contrario, puntando tutto sulla referenzialità e riducendo al minimo gli eventi trasformativi, quelli che fanno «cambiare qualche cosa», si corre il rischio di una insostenibile lentezza. Ciò non significa affatto che tutte le storie dal ritmo narrativo incalzante siano aride elencazioni, né che un romanzo dove gli accadimenti siano scarsi sia necessariamente noioso; è solo che più ci si avvicina agli estremi e più è necessario il talento del grande scrittore per gestire una situazione potenzialmente pericolosa.
Un'ultima citazione, sempre dalla stessa fonte. Si riferisce al ruolo chiave dei personaggi nel dare originalità alla narrazione:
[…]
Non bisogna essere troppo rigidi in queste categorizzazioni: nelle telenovelas e nelle soap opera (corrispettivi audiovisivi del romanzo popolare) non capita nulla per intere puntate e tutto è giocato sugli stati d'animo dei personaggi, così i libri d'amore della collezione Harmony o Bluemoon, ma anche i grandi romanzi popolari tradizionali (da Dumas a Carolina Invernizio), sono ricchissimi di minuziose descrizioni, sono fitti di informanti. Tutto ciò, se da un lato smentisce l'equazione «funzionale = popolare», dall'altro conferma la possibilità, per un testo funzionale opportunamente concepito, di essere fruito senza bisogno di un profondo lavoro interpretativo."
[A proposito di Guerra e Pace]
«Di cosa parla? »
«È la storia di una ragazza che ama un tizio e poi si sposa un terzo.»
Quante altre storie potrebbero essere descritte con queste parole? In quante decine o centinaia di romanzi c'è una ragazza che ama un tizio e ne sposa un terzo? Inventare una vicenda dove una ragazza ama un uomo, ma poi ne sposa un altro non richiede alcuno sforzo, alcuna capacità.
Quello che richiede talento è rendere credibile quella storia così costruita e vista; e la credibilità nasce proprio dalla caratterizzazione dei personaggi, dallo smisurato numero di variazioni sul tema che si possono effettuare lavorando sulla fisiononima del personaggio, sui motivi per cui prende certe decisioni, sul modo in cui vive gli eventi, sulle implicazioni sociali dei suoi comportamenti.