domenica 25 febbraio 2007

Per non saper né leggere né scrivere¹ - Produrre energia

di Enzo Fileno Carabba

La lettura e la scrittura hanno a che vedere con l'energia. Nel senso che ci vuole una grande energia, per scrivere un racconto, bello o brutto che sia. E ci vuole energia (meno, ma ci vuole) per leggerlo. Anche nel senso che il fatto di scrivere e leggere estrae da qualche territorio sepolto della tua mente risorse che non sapevi di avere. In un certo senso non le avevi proprio, prima di metterti a scrivere o a leggere. Non è che le consumi, le produci. Quando la cosa funziona, si genera una forza nuova, profonda, insospettata.

In generale, non mi sento certo nella condizione di dire "ragazzi, si scrive così e così, punto e basta". Nessuno può farlo. Non esiste una tecnica universale, non esistono le Dodici lezioni per scrivere di bene in meglio. Ce ne vogliono almeno tredici.
Io poi non cerco nemmeno di dire cose intelligenti sui testi. Magari non ci riuscirei neanche se lo volessi. Ma non voglio. Perché non è così che funziona. Funziona quando riesci a creare un clima per cui le persone scrivono, anche a forza di dire scemenze, al limite.

La premessa di ogni discorso su lettura e scrittura coincide con la conclusione: la libertà. Con questa alta parola intendo semplicemente significare che, alla fine, ognuno deve leggere quello che preferisce e scrivere come gli pare. Ma per avere delle preferenze quel tipo deve prima sapere che la lettura e la scrittura esistono, e che non è vero che chi legge o scrive lo fa perché non ha successo con le ragazze o con i ragazzi (incredibilmente, molti lo pensano).

C'è una cosa che come tutte le cose importanti sembra banale. Riguarda la capacità di plasmare quello che si scrive, soprattutto riguarda la disponibilità a farlo. È questo il cammino da tentare: lavorare sui racconti, convincendosi che non si è se stessi solo durante la prima stesura - come misteriosamente pensano i più - ma si è se stessi anche durante la seconda stesura. A volte alla nona stesura si è ancora più se stessi di prima. Ma in un modo diverso, nuovo, soprendente. Io credo che questa disponibilità al lavoro conti più del risultato finale: perché indica l'apertura verso possibilità sepolte.
Scrivendo puoi entrare sempre più dentro te stesso, ma puoi anche immaginare altre vite, puoi balzare nella testa di qualcun altro. E non è detto che le due vie non coincidano.
Sceivere è un lavoro lento, richiede concentrazione, e in un mondo dove tutti vogliono affannosamente far sapere di esistere, velocemente, a qualsiasi costo, è una bella sfida. Credo che sia un esercizio di forza e umiltà, anche se a volte può sfociare nel narcisismo.
Per quanto la partenza di un racconto possa essere dolorosa e terribile - intendo l'esperienza che ci sta dietro - il punto d'arrivo, se la magia riesce, è sempre l'energia e la vita.

¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.

1 commenti:

Enza P. ha detto...

Anche mia nonna diceva una cosa che in siciliano suonava così: "Ppi nun sapiri ne' leggiri e ne' scriviri". La storia era questa: lei raccontava di cose fatte o da fare che richiedevano la sua presenza e la sua decisione. Generalmente si trattava di mettere una firma (una croce da analfabeta) e in quel caso il "Ppi nun sapiri ne' leggiri ne' scriviri" diventava una giustificazione alla prudenza, un modo per spiegare che nell'incertezza era meglio fare una cosa piuttosto che l'altra. Non so se tua nonna usasse la frase allo stesso modo. Forse si. Quello che comunque so è che da una nonna si impara tanto e che spesso la nonna (come è accaduto a me) non sapeva davvero ne' leggere e ne' scrivere. Ne aveva di pazienza la mia nonnina e non era di certo nella condizione di dover dimostrare di esistere. Perchè le donne, certe donne, hanno mille vite che le impegnano tutte allo stesso modo e loro adempiono ai propri compiti, quasi sempre urgenti, quasi sempre più importanti di qualcos'altro. Fanno rinunce, le donne. Hanno difficoltà a ritagliarsi gli spazi, le donne. E generalizzo apposta, così qualcuna può dirmi che non è vero e che invece lei ha una vita che non funziona a spicchi, che non va avanti a ricomposizione dei ritagli. Io sarò felice di sentire che le donne hanno davvero così tanto tempo per far finta di esistere tra un figliolo da portare a scuola e la cena da servire in tavola. Tra il lavoro da portare a termine e uno shampoo da fare (uno ogni tanto, non ogni giorno) per non puzzare. Una donna ha sangue tra le cosce che scorre a fiotti e non succede per dimostrarle che esiste. Semplicemente la priva di qualcosa e le regala qualcos'altro. Una donna ha mille intenzioni e sogni da conciliare con la realtà che può essere ben più grigia e pericolosa di quella di una persona che tocca e fugge per dimostrare di esistere. Le donne vorrebbero sognare, dedicarsi tempo, fare un po' più l'amore, godere di qualche gratificazione in più. Non so gli uomini, ma le donne - ah le donne - esistono eccome. Bisogna odorarle intere, bisogna assaggiarle senza farle a pezzetti. Perchè talvolta il limite è di chi osserva poichè riesce a vedere solo percentuali di esseri umani e non persone nella sua interezza. E questa è un'epoca difficile in cui tutto è precario, tutto è frammentato, tutto è veloce. Così le donne hanno imparato ad esistere spogliandosi e rivestendosi più volte al giorno, ricomponendo i pezzi e mutando i propri corpi in fotografie piene di pixel da vedere in maniera aggregata. Non c'e' uniformità nelle persone. Non ci sono zone omogenee. Per fortuna si vive e in qualche modo si racconta anche. Non importa come, dove, quando. Io leggo tutto: dalle orme dei passanti alle loro espressioni del viso, dalle pagine di un libro a quelle di un ipertesto online, dalle parole tra le righe a quelle dentro le righe, dai toni di una voce alle parole usate per dire qualcosa. Io prendo appunti: assaggio la pietra, il legno, la carne. Annuso le parole, gli sguardi, i gesti di un corpo. Conservo memorie con la lingua e con le mani. Poi scrivo: sui muri, sul web, su un foglio, tra le righe di un libro. Scrivo per ricordare. Scrivo per non tacere. Rivedere il testo di un ricordo è difficile. Più semplice forse lo è quando si tratta di quello che racconta un personaggio fatto di carne o forse solo d'inchiostro. Ci vuole pazienza, certo. Una scrittura paziente, così difficile da associare alla passione, al flusso creativo, alla foga narrativa di chi vuole creare un personaggio e se ne vuole disfare subito...
Forse c'e' anche questo punto: in un epoca fatta di pixel è difficile stare dietro per troppo tempo ad un personaggio soltanto. Perchè questo forse è proprio di uno scrittore che non conduce una vita frenetica, che vede l'alba e il tramonto dallo stesso punto e che non deve conciliare mille vite per vivere o talvolta sopravvivere. Forse con gli aspiranti scrittori precari, quelli di questo particolare e difficile tempo che vivono vite precarie, ci vuole un po' di pazienza. Dico forse perchè non so se tutte sono davvero precarie. Ma io ne faccio una questione di genere, di ceto sociale, di provenienze geografiche, delle solite cose comuniste insomma. Talvolta, non sempre, le persone si accontentano di assaggi perchè non possono fermarsi a gustare tutto quello che c'e' in vetrina. Io per esempio vorrei poterlo fare. Mi piacerebbe tanto. Però, come sempre accade nella vita, è una questione di priorità: la sopravvivenza sta in cima a tutto. Perciò, "ppi nun sapiri ne' leggiri e ne' scriviri" io ti dico che se lo stimolo e le prospettive a realizzare un sogno sono forti allora si posso stare ferma anche per un anno intero a scrivere e riscrivere la stessa cosa fino a renderla perfetta. Ma se l'unica prospettiva, come per mille altre cose affrontate durante il giorno, è quella di appagare per qualche secondo il mio ego: allora la scrittura dovrà competere con molte altre fonti di gratificazione o con i mille pezzi che compongono una vita. In questo decennio pare che anche il lavoro sia diventato solo una fonte di gratificazione personale. Lo spiegano i datori di lavoro quando motivano l'assenza di stipendio nella busta paga. Comunque, ppi nun sapiri ne leggiri e ne scriviri, io per esempio continuo a scrivere. Faccio del mio meglio, ci provo. E ogni tanto mi rileggo e riconosco gli errori che mi hai insegnato a vedere. Così cambio una parola, una frase intera. Ci vuole una vita per dire grazie a qualcuno. Serve tutto il tempo trascorso a fare e ridire prima di arrivare a chiedere un consiglio, ad accettare una critica. Così quel grazie viene pronunciato nello stesso momento in cui si blocca il passo alla presunzione per lasciare strada all'umiltà. Si tratta di un grazie sincero... Ppi nun sapiri ne leggiri e ne scriviri :)
A presto! Ciao