di Enzo Fileno Carabba
C’è chi pensa poco e chi non pensa affatto. Ma esiste una terza via: pensare raccontando.
È una via antichissima. A prima vista sembra facile. Ma è un’illusione. In questo mondo sovrailluminato e superaccessoriato, dove tutto sembra a portata di mano, a disposizione, questa via può diventare impossibile perfino imboccarla. Ci sono nove porte invisibili da varcare.
La prima è riuscire a vedere le cose. Le persone per lo più vedono le cose nella loro testa, le vedono automaticamente, senza più bisogno di guardare. Ma quel tipo di sguardo si acceca quando dalla testa si tenta di travasarlo nelle parole
La seconda è riuscire a scivolare dentro a se stessi fino a scrivere cose che non si pensava di poter scrivere. Credo che questo accada soprattutto quando si raggiungono ricordi dimenticati.
La terza è uscire da se stessi, come degli sciamani, smettere ogni tanto di dire io, per entrare in teste lontanissime.
La quarta è costruire una storia non solo partendo da frasi che ci paiono belle e intelligenti, ma anche da frasi brutte e stupide. Che però – magari – messe insieme fanno il miracolo.
La quinta è compendere che la scrittura può partire come uno sfogo, ma poi deve diventare una architettura con un inizio, un centro e una fine.
La sesta è che il tono di voce del narratore è forse l’invenzione decisiva. Dal tono, che aleggia sulle acque delle parole, nasce il mondo.
La settima è cercare di non capire troppo. La maggior parte delle persone quando iniziano a scrivere “sanno troppo” e trasmettono questa consapevolezza ai loro personaggi fino a soffocarli.
L’ottava è il valore sella svagatezza.
L’ultima porta è quella del valore più alto: la speranza. Perché alla fine ognuno scrive come gli pare, per fortuna, e questo sgretola le porta precedenti.
martedì 3 aprile 2007
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Per non saper né leggere né scrivere - Le nove porte |
martedì 13 marzo 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - Non essere stanchi |
di Enzo Fileno Carabba
Quando ho cominciato a tenere corsi di scrittura non sapevo a cosa andavo incontro. Ho imparato molte cose. Di solito uno, senza rendersene conto, frequenta persone simili a lui. Per esempio persone che hanno in comune il fatto di aver preso il treno, qualche volta, o persone più o meno convinte che i libri siano una splendida cosa, o persone che non vengono picchiate spesso. Invece tenendo corsi in tante scuole diverse, in tanti ambienti diversi, ma molto diversi, ho incontrato ragazzi sapienti, ma anche ragazzi i cui contatti coi libri sono veramente minimi. Ho incontrato ragazzi che vanno in deltaplano ma anche ragazzi - non pochi - che non hanno mai preso il treno, oppure non sono mai stati a Firenze pur vivendo a pochi chilometri da Firenze.
Infatti non è vero che nella nostra era tutto è più vicino e più veloce. Ci sono barriere enormi. E non parlo di ragazzi che, in qualche sperduta catapecchia, vengono travolti da bombe democratiche, ma di ragazzi molto vicini a noi, in termini di chilometri.
Io spesso porto cassette con film che hanno come protagonista Dracula. Il ragionamento è questo: vedere come una storia che tutti conoscono viene affrontata nel libro e nei film. Ma una volta sono andato in una classe in cui nessuno conosceva la storia di Dracula, a parte la versione comica di Aldo Giovanni e Giacomo (peraltro pregevole) e una pubblicità in cui compare un vampiro. In compenso quando ho interrotto la cassetta ed è apparso il Tg2 in diversi si sono messi a urlare: "Tg2 Tg2!" come riconoscendo una divinità tribale. Lo so che sembro cattivo, solo che è andata così.
Ho sfiorato vite belle e terribili. Ho fatto lezione a ragazzi che, appena arrivati da paesi lontani, non so cosa capissero di quello che dicevo.
Non è detto che le scuole dove il livello culturale è più alto siano anche le scuole da cui escono i racconti migliori. Non sempre. Per scrivere bisogna scommettere, osare, lasciarsi andare, produrre scintille. Se giudichi con troppa intelligenza è la fine, quello che scrivi si ferma, smette di respirare, muore. Non è facile. Questo coraggio può essere liberato dall'esterno, ma cova nel cuore dei singoli.
Quando andavo a scuola come alunno, a parte che mi sembrava non sarebbe finita mai, ero colpito dal fatto che molte persone erano sempre stanche e ritenevano di ricevere, dalla vita, molto meno di quanto meritavano. Questo valeva sia per i professori che per gli alunni, dato che come si sa si influenzano a vicenda, a volte in modo miracoloso, altre volte in modo devastante. Sarà la scuola, pensavo. Oggi so che non è così. Dopo, molti continuano a essere stanchi e scontenti: per il lavoro, o per la mancanza di lavoro. O per questo, o per quell'altro. E così via per tutta l'esistenza. È una costante universale, e coloro che nonostante tutto, caparbiamente, si sottraggono a questo modo di percepire la vita sono - ai miei occhi - dei piccoli eroi.
Io per parte mia, nonostante sia passato molto tempo, sono ancora così sollevato che la scuola sia finita che il mondo mi appare in una luce meravigliosa.
L'importante è non essere stanchi.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
domenica 25 febbraio 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - Produrre energia |
di Enzo Fileno Carabba
La lettura e la scrittura hanno a che vedere con l'energia. Nel senso che ci vuole una grande energia, per scrivere un racconto, bello o brutto che sia. E ci vuole energia (meno, ma ci vuole) per leggerlo. Anche nel senso che il fatto di scrivere e leggere estrae da qualche territorio sepolto della tua mente risorse che non sapevi di avere. In un certo senso non le avevi proprio, prima di metterti a scrivere o a leggere. Non è che le consumi, le produci. Quando la cosa funziona, si genera una forza nuova, profonda, insospettata.
In generale, non mi sento certo nella condizione di dire "ragazzi, si scrive così e così, punto e basta". Nessuno può farlo. Non esiste una tecnica universale, non esistono le Dodici lezioni per scrivere di bene in meglio. Ce ne vogliono almeno tredici.
Io poi non cerco nemmeno di dire cose intelligenti sui testi. Magari non ci riuscirei neanche se lo volessi. Ma non voglio. Perché non è così che funziona. Funziona quando riesci a creare un clima per cui le persone scrivono, anche a forza di dire scemenze, al limite.
La premessa di ogni discorso su lettura e scrittura coincide con la conclusione: la libertà. Con questa alta parola intendo semplicemente significare che, alla fine, ognuno deve leggere quello che preferisce e scrivere come gli pare. Ma per avere delle preferenze quel tipo deve prima sapere che la lettura e la scrittura esistono, e che non è vero che chi legge o scrive lo fa perché non ha successo con le ragazze o con i ragazzi (incredibilmente, molti lo pensano).
C'è una cosa che come tutte le cose importanti sembra banale. Riguarda la capacità di plasmare quello che si scrive, soprattutto riguarda la disponibilità a farlo. È questo il cammino da tentare: lavorare sui racconti, convincendosi che non si è se stessi solo durante la prima stesura - come misteriosamente pensano i più - ma si è se stessi anche durante la seconda stesura. A volte alla nona stesura si è ancora più se stessi di prima. Ma in un modo diverso, nuovo, soprendente. Io credo che questa disponibilità al lavoro conti più del risultato finale: perché indica l'apertura verso possibilità sepolte.
Scrivendo puoi entrare sempre più dentro te stesso, ma puoi anche immaginare altre vite, puoi balzare nella testa di qualcun altro. E non è detto che le due vie non coincidano.
Sceivere è un lavoro lento, richiede concentrazione, e in un mondo dove tutti vogliono affannosamente far sapere di esistere, velocemente, a qualsiasi costo, è una bella sfida. Credo che sia un esercizio di forza e umiltà, anche se a volte può sfociare nel narcisismo.
Per quanto la partenza di un racconto possa essere dolorosa e terribile - intendo l'esperienza che ci sta dietro - il punto d'arrivo, se la magia riesce, è sempre l'energia e la vita.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
mercoledì 14 febbraio 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - L'era del tanghero |
di Enzo Fileno Carabba
Anche voi leggete libri sempre più corti, ammettetelo. Più brevi e più semplici. Quando ne leggete uno complesso vi sembra di aver fatto qualcosa di formidabile. Vi guardate in giro con un sorrisetto fiero aspettandovi che qualcuno vi dica bravo (aspetterete un pezzo). Di solito lo leggete d'estate, e a settembre lo raccontate a tutti. A settembre siete pieni di buoni propositi. Tutti a settembre venite da me e mi riassumete fino alla nausea libri meravigliosi. Dovrei espatriare, a settembre.
Però le ulteriori letture meravigliose e originali che avevate progettato sulla spinta dell'eroico periodo estivo si perdono con i primi freddi. Oppure, se la vita vi costringe a fingere di conoscere tutto (che esistenza miserabile, però) adottate tecniche di lettura veloce, una cosa perversa per cui sarete puniti nell'adilà.
Ah no? Mi dite che non è così?
Se non è così, se leggete mostruose quantità di libri complicatissimi come facevate qualche anno fa, allora me ne rallegro, vi faccio i miei complimenti. Vuol dire che siete bravi, ma anche fortunati. Siete dei privilegiati, la mamma vi rimbocca le coperte, avete ereditato i pozzi petroliferi della nonna Abelarda, vendete missili per guerre preventive, o mine antiuomo per diffondere la civiltà definitiva. Sono contento per voi. Mandatemi dei soldi. Fatemeli avere al più presto.
Sul versante della scrittura è la stessa cosa. Se prima scrivevate, ora scrivete di meno. Non dite di no. A meno che non siate diventate degli autori di best seller, o non siate dei nababbi per conto vostro, voi scrivete sempre meno. Se mai avete scritto.
Quando dico voi, intendo in qualche modo gli addetti ai lavori, gente che più o meno ha sempre gravitato attorno ai libri. Gente che è cresciuta leggendo, o scrivendo.
Se voi stete ridotti così, e io sono uno di voi, figuriamoci gli altri.
La verità è di questi tempi la nostra vita non è concepita per leggere e per scrivere. Soprattutto non è concepita per leggere, perché per leggere ci vuole una grande generosità, una grande disponibilità, mentre a volte chi scrive è mosso solo da un feroce narcisismo, perfettamente in linea con i tempi.
È il ritmo della nostra esistenza che è micidiale. Non c'è bisogno che te lo dica io però te lo dico lo stesso. Se entri in un ufficio qualsiasi, tanto per dire, sei accolto da vari strati di suoni meccanici e nevrotici che fanno da sottofondo a attività insensate che ci sembrano della massima importanza. Quei suoni non li avvertiamo neanche più, ci sembrano normali. Invece sono il sintomo di un ottundimento collettivo.
Noi siamo una civiltà in cui il massimo piacere per la maggior parte degli uomini è trovare parcheggio. È quando troviamo un posto nel groviglio cittadino che veramente esultiamo, anche quelli che leggono Seneca (io non ne conosco, comunque).
Noi siamo una civiltà che per la prima volta della storia si vergogna degli oggetti che produce: bottiglie di plastica, lattina, pannolini che resistono millenni, e così via.
Noi siamo una civiltà che ha prodotto persone che hanno paura a entrare in posti dove il telefonino non ha campo. E a volte si tratta di baldi giovani che amano gli sport estremi, cosidetti estremi.
Questo per parlare dei piccoli segni.
Sembra che un'intelligenza maligna orchestri le noste vite per impedirci di coltivare la capacità di concentrazione.
Cosa volete che leggiamo e che scriviamo.
Tengo corsi di scrittura, in poche parole faccio scrivere racconti e poi ci ragioniamo su. Prima insegnavo solo agli adulti. Da qualche anno lo faccio anche nelle scuole superiori. Ho visto che per la maggior parte delle persone, concentrarsi a lungo è impossibile. Nessuno segue più un ragionamento completo. Ma non perché sono scemi, non sempre almeno. È come se il ragionamento non fosse più richiesto, non fosse più utile.
Un ragionamento vuole che da un punto A, passi al punto B, poi al C e infine al D. Questo non è più possibile, o avviene solo in circoli ristretti, sempre più simile a sette. Normalmente tutti si avventano sul punto A, per dimostrare di esistere, seguendo un modello di comportamento televisivo, quando non restano segregati dietro muri di apatìa.
A proposito della televisione, mi rendo conto che non è originalissimo tirarla in ballo. Ma non è più il tempo per essere originali. Un mio amico sostiene una tesi interessante: la televisione andrebbe bene se per guardarla tu dovessi, mettiamo, piegarti su un tubo che esce da terra. Se la televisione comportasse un minimo sforzo, anche solo fisico, invece dello stravaccamento in poltrona che tu ben conosci, allora andrebbe bene.
Dicono: ma se vuoi la spegni.
NON È VERO! Maledette teste a pinolo! Dato che tutti la guardano, anche se tu non la guardi sei comunque circondato da quelli che la guardano. Sono loro che comandano, i tangheri ti dicono come vivere. "È l'era del tanghero" dice il mio amico.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.