martedì 27 marzo 2007

Della scrittura sboccata! Perchè lo scrittore e il lettore non sospendono il giudizio

Ho visto alcuni commenti ad uno dei miei racconti: Legittima difesa! E' vecchio e l'ho pubblicato (era già su Femminismo a Sud) proprio per vedere che tipo di reazioni suscitava. Mi sembra che abbia sconvolto i lettori. L'ho letto in pubblico e anche lì ha sempre suscitato sentimenti fortissimi e opposti.
Mi rendo conto che in questo caso non conta più la forma, la tecnica (che pure sicuramente non è perfetta). Conta l'argomento. Conta il contenuto. Contano le parole. Perchè al di la' di ogni bella storia che possiamo raccontarci sulla buona letteratura poi alla fine conta soprattutto l'abilità di emozionare o indignare o sconvolgere. Oppure conta il fatto che ci si misura sempre con degli enormi pregiudizi. Questo mi dimostra che sia quando siamo scrittori che quando siamo lettori siamo sempre politicizzati. Siamo pieni zeppi di pregiudizi e di chiusure morali. Una storia come quella che ho scritto può far venire fuori commenti come: "poteva essere scritta in modo più discreto, meno sboccato. poteva giocare con ipocrisie e eufemismi. poteva usare più stile..."
tutto questo, secondo il mio umilissimo parere, altro non è che un modo per mascherare, dissimulare la brutta sensazione che ci deriva dal sentirci disturbati, feriti a sangue, aggrediti, violentati. Anche le parole possono essere violente. Anche le parole possono "sfondare" (e uso sfondare piuttosto che oltrepassare apposta) il velo del moralismo, dell'ipocrisia, del pudore, del perbenismo, di certo buonismo, di un concetto virginale e opaco del fare e del recepire letteratura.
Una letteratura "perbene" per gente perbene. Una letteratura pudica per gente pudica. Una letteratura ipocrita per lettori impauriti, terrorizzati dall'idea di poter leggere svelata, spiattellata, una verità cruenta che non vorrebbero mai fosse rappresentata con parole altrettanto cruente.
Adoro le sottigliezze. Amo infinitamente forme acute dello scrivere. Temo però che la letteratura ci stia educando malissimo. Che abbia inflitto a ciascuno di noi la condanna della censura e dell'autocensura. E' una proposta di dibattito. Per non scivolare in un conformismo opposto. Per invitare a non storcere il muso dinanzi ad esercizi letterari boccacceschi. Perchè non si liquidi tutto come "questioni di stile" o "questione di gusti". Quello che per alcuni è "pessimo gusto" per altr* può sempre essere qualcosa di "diverso, non scontato, a volte originale". Parliamone senza sentirci all'Accademia della Crusca :)

3 commenti:

filsero ha detto...

Sono d'accordo sull'importanza fondamentale dei contenuti e che la scelta delle parole
forti e violente per esprimerli può smuovere in modo efficace le coscienze.
Non è detto, ma può essere così.

Ad esempio forse non tutti, per ipocrisia o sensibilità, possono recepire un messaggio espresso in questo modo: qualcuno potrebbe abbandonare la lettura dopo poche righe, oppure, per reazione, urtati dal contrasto rispetto al proprio punto di vista, rafforzare quest'ultimo trovando una ragione in più per condannare certi massimalismi.

Il rischio (o la scelta, se è un atto consapevole) è di parlare soltanto a chi ha uno stomaco forte, in grado di reggere l'urto. A chi è già predisposto per far strada dentro di sé a quel tipo di messaggio. Non dico che bisogna usare sia la dinamite sia le carezze, per far intendere le proprie ragioni e con queste conquistare il lettore.
Ognuno sceglie la sua arma e sceglie anche il suo lettore, se ha qualcosa per cui combattere.
Inutile gridare con i sordi o sbracciarsi davanti a un cieco.

E comunque, per far arrivare il messaggio, bisogna pur sempre spedirlo. E, per spedirlo, ci vuole un mezzo, che anche nel tuo caso
si chiama stile. E' sempre anche questione di stile. Il tuo è carnale e violento, e consegna con successo il tuo messaggio a un buon numero di destinatari. Forse lo stesso messaggio, spedito con altro stile,
ad esempio uno stile più discreto (ma non dico ipocrita) come quello cui accennavi potrebbe raggiungere altri lettori. Potrebbe scavalcare silenziosamente la barriera della loro ipocrisia, ingannare la loro sensibilità perbenista con abili espedienti retorici, entrare nella loro coscienza in punta di piedi e, una volta lì, lavorare finemente per distruggere i preconcetti e le chiusure morali.
Quantomeno potrebbe prepararli alle tue mazzate :-)

Enza P. ha detto...

Bien :)
allora ho bisogno dell'artiglieria che predisponga il passaggio al carro armato.
Tutto quello che siccede attorno a me mi dice che non dovrei scendere a compromessi e che sulla cultura di sottigliezze e moderazioni se ne sono spese fin troppe. tanto da non farci più distinguere dove stava la radicalità di alcuni messaggi, la rivoluzione che ogni strumento culturale dovrebbe portare con se'. se gli artisti contro la guerra ne avessero scritto con uno stile colmo di espedienti retorici, forse ora non riusciremmo a leggere opere meravigliose che ci hanno consegnato un passato orribile con parole fedeli al contesto.
In questo momento io penso che vi sia bisogno di scossoni. Di cultura che parli di stupri culturali e fisici senza paura di ferire. Perchè quello che ferisce oggi a me pare piuttosto l'ipocrisia di ogni immagine, di certa letteratura infarcita di volgari simboli e messaggi neppure tanto subliminali.
Per quello che dici tu poi certamente bisogna essere molto bravi e io sicuramente non lo sono. Ma dammi esempi di cultura che distrugge preconcetti e chiusure morali con giochi tanto sottili.
Dimmi quali sono esempi non "realmente sboccati" che sanno misurare con genialità espedienti retorici e quel fine tessere la tela da ragno paziente.
Io conosco Saramago ma non so quanti pari a lui.

filsero ha detto...

Non credo che sottigliezza e moderazione vadano sempre e per forza di pari passo, si può essere insieme sottili, fautori di un pensiero radicale e fedeli al contesto. Gli espedienti retorici posso essere usati per indorare la pillola, ma anche per esprimere con efficacia ciò che si deve dire, seguendo la propria personale idea di efficacia. Anche tu ne fai uso, e con molta efficacia, direi ;-)

Ci tengo a dirti che né ora né nel commento precedente volevo minimamente incoraggiarti ad abbandonare il tuo modo di esprimerti, fossi matto!
Anzi, se mai ce ne fosse bisogno, ti spronerei nel confermare e approfondire queste tue scelte!
Invidio molto la tua potenza espressiva, che riesce sempre a coinvolgermi sia emotivamente che intellettualmente.
Hai trovato uno stile adatto a te, il tuo stile, e questo è uno dei massimi obiettivi, credo, di un apprendista scrittore...
Io sono ancora lontano da questa consapevolezza, e passata la trentina non è un gran risultato :-/

Mi chiedi degli esempi, oddio... mi hai incastrato! ;-)
Ti posso dire che 10 anni fa (più o meno) ero molto attento al mondo interiore, anzi vivevo con "gli occhi rivoltati", e avevo solo una vaga idea di cosa potevano essere i conflitti sociali, le dinamiche del potere, la coscienza politica...
poco ne sapevo e (dunque) ne capivo e (dunque) meno ancora me ne importava.
Poi, quasi per caso, partendo da lontano, leggendo, ascoltando, ho cominciato a girare gli occhi nella loro posizione più naturale, quella che guarda verso la realtà. Senza scossoni. Ragionando, confrontando. Cacucci, Sepulveda, Galeano, Orwell, Pasolini (ma sì, ci aggiungo anche De André!)
e diversi altri mi hanno fatto conoscere, capire e interessare. E' solo la mia esperienza, non dico che debba andare per tutti così. Dopo ho letto un po' di tutto, dai carri armati (nel senso che gli abbiamo dato fin qui) alle bombe e penso che ogni scelta espressiva può avere la sua importanza ed essere necessaria, se realizzata ad arte. Si può discutere all'infinito su quale sia la più adatta per esprimere quelle idee, quei fatti eccetera, ma credo si entri nel territorio dei gusti personali.