I - Arrivo
"Scusi, ferma a Santa Maria Novella?" mi domandò, trascinando poi lo sguardo sul signore a fianco a me. Gli osservai la cravatta. Era a quadrettini rossi bordati di nero: fissandoli davano l'impressione di muoversi su binari paralleli, con sensi di marcia invertiti. Il nodo affondava fino al secondo bottone della camicia: ne fuoriuscivano sottilissimi e bianchi zampilli di peli.
"Sì certo, è la prossima stazione" rispose lui con un boato. Approvai con una smorfia, tanto per far capire alla ragazza che anch'io avrei saputo risponderle. Lei sussurrò un grazie, che cadde nella stretta intercapedine tra me e il signore, e sembrò poi che con rapidi movimenti degli occhi ne seguisse i rimbalzi casuali, fino ai propri stivali lucidi indossati sopra i jeans.
Più il treno rallentava la sua corsa, più velocemente lo spazio tra le porte si affollava di gente. Pensavo alle parole con cui avrei spiegato alla ragazza, dopo averla aiutata a portare giù la valigia, come la rotellina si poteva facilmente riparare. Al centro del vestibolo, una mano impugnava con forza l'asta metallica infilzata tra soffitto e pavimento, quasi la volesse sradicare e lanciare come un giavellotto lungo il corridoio. Un'altra mano faceva penzolare un vecchio libro. La scritta sulla costola iniziava con Fe e terminava con ata: il resto dei piccoli caratteri dorati, leggermente in rilievo, era coperto da due dita grassocce. Dietro di me le porte si aprirono.
"Signorina, permette che l'aiuti?" domandò una voce di baritono. Mi girai e vidi la valigia diventare leggerissima tra le mani del signore incravattato. La ragazza soffiò un grazie più mirato, che raggiunse il profilo dell'uomo. Mentre i passeggeri sfilavano intorno a me, indugiavo sul predellino. Osservavo il signore che tentava di mettere a posto la rotellina: sulla banchina, a due passi da me, se ne stava rannicchiato, come imploso su se stesso nell'abito scuro che strusciava il pavimento, nascondendogli le scarpe. Anche la testa ripiegata nel petto era invisibile: vedevo solo le spalle accartocciate e la mano destra, che spiccava in alto per reggere la valigia. Ogni tanto una folata faceva spuntare la cravatta rossa, che, come la lingua di uno strano essere deforme, mi sbeffeggiava sventolandosi. La ragazza, leggermente curva su di lui, raccontava l'incidente che aveva causato quel piccolo danno. Parlava con una mano davanti alla bocca, che ogni tanto scopriva per raccogliere i capelli dietro l'orecchio. Erano capelli lunghi e lisci, e a ogni breve risata le loro punte, come mille dita impazienti, tamburellavano sulla mano dell'uomo. Di colpo lui smise di armeggiare sulla rotellina, fece apparire da sopra una spalla la testa e la volse a guardarmi, aggrottando le sopracciglia. Emisi uno sbuffo di sorpresa e mi allontanai velocemente, sentendo come uno schiaffo simultaneo su entrambe le guance.
1 commenti:
Mi e' piaciuto la prima volta e mi continua a piacere.
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