mercoledì 8 novembre 2006

La goccia che fa traboccare il vaso

La porta sbatté. Carmen rimase immobile con gli occhi pieni di lacrime indecisa se entrare o meno. Poggiò la mano grinzosa sul pomello, ma la ritrasse subito come se si fosse scottata.
Dalla cucina arrivava l’odore del soffritto di cipolla che stava preparando. Rimase ancora qualche secondo di fronte alla camera del figlio, poi ricacciando le lacrime negli occhi, si volse lentamente a guardare fuori da una finestra.
Il buio era già sceso da un paio d’ore e fuori la pioggia batteva incessante. Carmen fu tentata di lasciar bruciare il soffritto sul fuoco e uscire senza cappotto e senza ombrello a farsi bagnare dalla pioggia. Poi riprese coscienza di dove era e di cosa stava facendo e asciugandosi la faccia ancora umida con il canovaccio che aveva in mano si trascinò in cucina.
L’odore di cipolla era forte, insopportabile e Carmen fu presa nuovamente da un’irrefrenabile voglia di scappare. Per la seconda volta si scosse. Accese l’aspiratore e tirò fuori il tagliere e un coltello. Iniziò a sbucciare le carote e quando ebbe terminato prese a tagliarle a sottili rondelle. Portò avanti questa azione carota dopo carota finché il coltello non le scivolò verso l’indice sinistro con cui teneva ferma la verdura. Carmen ritrasse istintivamente il dito portandolo in bocca e succhiandolo. Sentì il sapore metallico del sangue.
Prese il canovaccio con cui si era asciugata il viso un attimo prima e lo strinse forte intorno al taglio. Si mise a sedere accanto al tavolo appoggiandosi con il gomito e portando la mano destra sulla fronte come a sorreggersi. Rimase in questa posizione qualche secondo; poi iniziò a singhiozzare, prima piano, poi sempre più forte. Si tolse il canovaccio dal dito ferito e cercò di usarlo per attutire i suoi singhiozzi disperati. Ma ormai il pianto era incontrollabile.
Quando finalmente i singhiozzi iniziarono a placarsi, Carmen si alzò, si sciacquò il viso con l’acqua fredda del rubinetto della cucina e rimase un attimo in silenzio ad ascoltare il ticchettio della pioggia che fuori continuava incessante .
Poi spense il fornello dove cuoceva il soffritto, prese il coltello con cui si era tagliata e stringendo ancora il canovaccio nell’altra mano si diresse verso la camera del figlio.
Bussò alla porta come lui voleva che facesse e per tutta risposta udì:
“Vaffanculo, stronza!”
Carmen aprì la porta come se lui l’avesse invitata ad entrare e lo guardò abbozzando un sorriso.
“Cazzo vuoi?” - la apostrofò lui a testa bassa.
Carmen continuò a sorridere mostrandogli la mano sinistra insanguinata.
Solo in quel momento lui alzò la testa e vide il coltello.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi viene in mente quante volte sfoghiamo su nostra madre i nostri rancori e lo stress quotidiano, quante volte magari non la vediamo piangere per la sofferenza che le abbiamo causato... quanto amore c'è in una madre! Hai colto uno degli aspetti più dolci e più forti di un genitore... unici veri pilastri della vita... le uniche persone che mai ti tradiscono e mai ti abbandonano. Vorrei leggere assolutamente il seguito... ti prego di continuare a scrivere. La suspance è a livelli ingestibili a questo punto.... Compliementi sei dolcissimi, prodondo e la bellezza della tua anima trapela da ogni parola