IV - Ahmed
Aspettai qualche secondo, poi uscii anch'io dal negozio. Sentivo come un gorgo nel petto, un senso di nausea. La testa girava nel gorgo.
L'uomo e la ragazza riemersero in Piazza dell'Unità. Le falde svolazzanti del cappotto dell'uomo erano onde ipnotiche. Appena fui anch'io sulla strada, lo sguardo di Ahmed mi catturò. Era con un gruppo di suoi connazionali, facce come manifesti slavati dalla pioggia. Ricordavo vagamente di averle già viste alla scuola. Spalle incollate al muro, mani addormentate nelle tasche. Erano l'ombra di quelli che aspettavano l'autobus alla fermata di fronte. Ahmed mi raggiunse con un salto.
"Ehi amico! Porcaccia ma dove sei stato in questi giorni? Non sai niente di ieri? Come non sai niente! O alla fine sono venuti davvero, quei bastardi. Mica era solo chiacchiera! Sono venuti davvero ieri mattina, a cacciarci!"
Ahmed non smetteva mai di guardarsi attorno, anche quando parlava. Il suo sguardo era un cono di luce che illumina la scena con flash rapidi, stroboscopici. Un autobus che si ferma, le porte che si aprono. La gente risucchiata dentro, bevuta in un sorso. Un ragazzo di colore su una carrozzella, doppio mento, occhi pensosi, che cerca di attirare l'attenzione dell'autista. La sua mano che sfarfalla in direzione dello specchietto retrovisore. Ahmed si accorgeva di tutto, senza mai perdere il filo del discorso.
"Uno del movimento è volato ad avvertirci mezz'ora prima, per fortuna. Come diavolo fanno a sapere sempre tutto. Siamo scesi in strada in mutande come eravamo. Li dovevi vedere, i cancelli barricati con tutta l'immondizia della settimana! Immaginati. Quelli però sono furbi, che ti credi? Son passati da dietro, dal campo, quelli della municipale con alcuni operai del comune. Hanno sfondato la porta a calci e hanno cominciato a murare porte e finestre e a mettere i sigilli. Se la ridevano, i bastardi!"
Ormai avevo perso di vista Camilla e l'uomo che l'accompagnava. Sentivo la nausea salirmi a ondate. Seguivo lo sguardo di Ahmed sulle porte dell'autobus che si chiudevano, inghiottendo le voci dei passeggeri. Gridavano all'autista di fermarsi. Le porte si riaprirono e dalla base dell'autobus fuoriuscì la pedana, come una lingua metallica. La sua punta sfiorò il bordo del marciapiede. Il ragazzo in carrozzella la guardò ritrarsi come schifata. Dai vani delle porte e dai finestrini luccicava un alveare di occhi attenti. Ahmed continuava il suo racconto.
"Mica siamo rimasti a guardare! Ci siamo piazzati tra i chiodi e i martelli, le donne si sono attorcigliate alle loro gambe e frignavano che era una bellezza. Se ne sono andati, sempre dal retro, con il fango e la merda e tutto. Ben gli sta. Ma non era mica finita!"
Le porte si richiusero, l'autobus andò avanti di qualche metro, poi si fermò sbuffando e tornò indietro riaccostandosi al marciapiede, poco più vicino al bordo. Le porte centrali si riaprirono, mostrando occhi più sottili, sorrisi fatti inespressivi, come tagli nella carne dissanguata.
"Dall'altra parte la strada era già zeppa di poliziotti con caschi e manganelli " raccontava Ahmed, "e c'era pure un tipo con la fascia tricolore e il megafono, che non la smetteva più di minacciarci: dovevamo sgomberare immediatamente, secondo lui! Come se non ne avessimo mai viste, di commedie del genere."
Come api infastidite, nell'autobus si vedevano teste muoversi scattose dall'orologio sul polso a un altro autobus poco più avanti, pronto a partire. Ronzavano dalla pedana, che di nuovo si protendeva, al ragazzo in carrozzella, e dal suo sguardo basso ai loro stessi sguardi impazienti. Ahmed scuoteva la testa mentre fotografava la scena con le sue occhiate rapide, e modulava la fiamma vivace del suo racconto con un improvviso cambio di tono ogni volta che rivolgeva il viso verso di me.
"Continuiamo a buttare roba dietro ai cancelli e alle altre entrate. Un vero schifo, ma che facevi? Nel giro di un'ora arrivano a centinaia quei ragazzi con megafoni e striscioni e telecamere. Ci portano anche da mangiare, sono fantastici."
Ahmed fece un gran sospiro in direzione del ragazzo in carrozzella.
"Idiota di un autista. Per farla uscire deve tenere le porte chiuse" disse. La pedana fece un altro inutile tentativo di posizionarsi, mentre Ahmed si tuffava dentro l'autobus. Saltò fuori con un gran sorriso. Poco dopo il ragazzo scivolava sulla pedana troppo ripida, sospinto da Ahmed.
"Ti rendi conto?" mi chiese un secondo dopo, "ha chiesto scusa! Il ragazzo! Scusate, ha detto. Che roba. Insomma, ti dicevo. Noi sempre lì a tener duro. I pulotti abbozzano una carica, ma più per far scena. Ridicoli, davvero. Porcaccia ma dove diavolo eri tu? Verso le cinque gli sbirri se ne vanno in blocco, si erano stancati, o che ne so, dovevano tornare dalla mogliettina. Uno dei rappresentanti del movimento ci ha detto che possiamo stare tranquilli, per un po', soltanto dobbiamo fare attenzione con la roba e tutto, che per quei bastardi ogni scusa è buona."
7 commenti:
mi piace Ahmed, mi piace il suo "Porcaccia", mi piace la storia che racconta e mi incuriosisce il rapporto con il protagonista, ma... ho perso il filo! La ragazza? Il poliziotto? L'uomo? Sono sicuro che il loro destini si incrocieranno di nuovo con Ahmed e il protagonista, per cui...aspetto il prossimo episodio!
Massi... l'idea iniziale era di raccontare il protagonista e la sua storia per gradi, ogni pezzo del puzzle (molto semplice) svelato e filtrato quasi esclusivamente attraverso gli incontri che Fosco a mano a mano fa con i diversi personaggi. Il vero filo conduttore sarebbe stata, oltre alla storia di Fosco, la città, vista attraverso i suoi occhi e lungo il percorso che lui compie seguendo Camilla e l'uomo. La visione di Fosco si sarebbe alternata (alternanza anche stilistica) con i monologhi o i dialoghi dei personaggi incontrati, secondo una successione di eventi che, più che costruire l'intreccio, avrebbe cercato di costruire il protagonista e la sua esperienza della città.
Questo il progetto che in modo più o meno consapevole avevo in mente, poi tutto si è bloccato... i personaggi, soprattutto Ahmed hanno reclamato il loro spazio e
la loro importanza nella storia, costringendomi a pensare a ogni elemento come funzionale a un intreccio tutto da reinventare.
Forse mi sarei bloccato comunque, perché i miei obiettivi stilistici miravano troppo in alto, per così dire. Per un motivo o per l'altro, non so se mai ci sarà una continuazione!
Nel caso, qui su apprendisti, prima del titolo di un prossimo racconto ci sarà un numero romano che rappresenta anche una vittoria ;-)
Non ti azzardare a bloccarti!
Aspetto il capitolo V di Vittoria!
Allora, questo capitolo V, 5, cinque?
Per ora ho abbandonato Fosco e Ahmed ... chissà di che parlano, senza che io li possa sentire. Però sono abbastanza determinato a portare a termine questo racconto (e mentre lo dico non sono scosso da dubbi atroci, questo sì che è sensazionale!)
FILSERO!
Mi meraviglio di te!
Come hai potuto, caro Filsero, postare sul Publog un inizio di racconto, su cui hai creato il Premio Publog http://filsero.blogspot.com/2006/11/premio-publog.html, anche se tale racconto aveva già un suo proseguimento in Apprendisti??? O Filsero, perchè??? Sappi che aspetterò la conclusione del Premio Publog; poi rivelerò ai Compagni di Bevute che fine ha fatto Fusco.
Quindi, ti consiglio di prepararti con un'idonea replica. :-b
@pollonika: perché no? possedendone i diritti d'autore, non mi sono mica messo problemi ;-)
E poi ero curioso di vedere dove, partendo dallo stesso incipit, la vostra imprevedibile immaginazione avrebbe portato Fosco (o Fusco, come preferisci:)
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