di Enzo Fileno Carabba
La lettura e la scrittura hanno a che vedere con l'energia. Nel senso che ci vuole una grande energia, per scrivere un racconto, bello o brutto che sia. E ci vuole energia (meno, ma ci vuole) per leggerlo. Anche nel senso che il fatto di scrivere e leggere estrae da qualche territorio sepolto della tua mente risorse che non sapevi di avere. In un certo senso non le avevi proprio, prima di metterti a scrivere o a leggere. Non è che le consumi, le produci. Quando la cosa funziona, si genera una forza nuova, profonda, insospettata.
In generale, non mi sento certo nella condizione di dire "ragazzi, si scrive così e così, punto e basta". Nessuno può farlo. Non esiste una tecnica universale, non esistono le Dodici lezioni per scrivere di bene in meglio. Ce ne vogliono almeno tredici.
Io poi non cerco nemmeno di dire cose intelligenti sui testi. Magari non ci riuscirei neanche se lo volessi. Ma non voglio. Perché non è così che funziona. Funziona quando riesci a creare un clima per cui le persone scrivono, anche a forza di dire scemenze, al limite.
La premessa di ogni discorso su lettura e scrittura coincide con la conclusione: la libertà. Con questa alta parola intendo semplicemente significare che, alla fine, ognuno deve leggere quello che preferisce e scrivere come gli pare. Ma per avere delle preferenze quel tipo deve prima sapere che la lettura e la scrittura esistono, e che non è vero che chi legge o scrive lo fa perché non ha successo con le ragazze o con i ragazzi (incredibilmente, molti lo pensano).
C'è una cosa che come tutte le cose importanti sembra banale. Riguarda la capacità di plasmare quello che si scrive, soprattutto riguarda la disponibilità a farlo. È questo il cammino da tentare: lavorare sui racconti, convincendosi che non si è se stessi solo durante la prima stesura - come misteriosamente pensano i più - ma si è se stessi anche durante la seconda stesura. A volte alla nona stesura si è ancora più se stessi di prima. Ma in un modo diverso, nuovo, soprendente. Io credo che questa disponibilità al lavoro conti più del risultato finale: perché indica l'apertura verso possibilità sepolte.
Scrivendo puoi entrare sempre più dentro te stesso, ma puoi anche immaginare altre vite, puoi balzare nella testa di qualcun altro. E non è detto che le due vie non coincidano.
Sceivere è un lavoro lento, richiede concentrazione, e in un mondo dove tutti vogliono affannosamente far sapere di esistere, velocemente, a qualsiasi costo, è una bella sfida. Credo che sia un esercizio di forza e umiltà, anche se a volte può sfociare nel narcisismo.
Per quanto la partenza di un racconto possa essere dolorosa e terribile - intendo l'esperienza che ci sta dietro - il punto d'arrivo, se la magia riesce, è sempre l'energia e la vita.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
domenica 25 febbraio 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - Produrre energia |
martedì 20 febbraio 2007
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VII - L'uomo insensibile |
Quando Cristiano aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu Erika completamente vestita di bianco.
Oddio, sono morto e mi trovo in paradiso.
Richiuse gli occhi, li riaprì e si rese conto che la persona che gli stava davanti non era Erika. Era una donna di mezza età, con un camice bianco.
“Come si sente?”, la voce della donna era morbida e vellutata.
“Dove…dove sono?”
“E’ in ospedale, ha avuto un incidente, ricorda? Io sono la dottoressa Franchi.”
Cristiano ripensò alla macchina, a sua madre che parlava, che urlava il suo nome, poi il volo.
“Sì, ricordo…stamani…in tangenziale.”
“Veramente è stato ieri mattina.”
Cristiano la guardò interrogativo.
“Siete finiti fuori strada e avete fatto un volo pazzesco, la macchina si è cappottata un paio di volte e alla fine si è schiantata contro un albero.”
La dottoressa fece una pausa.
“L’ambulanza l’ha portata subito qui. Le sue condizioni erano gravi e abbiamo dovuto operarla di urgenza.”
“Ma…io…”
Cristiano si bloccò e guardò il volto della dottoressa Franchi.
“Mia madre…dov’è mia madre?”
La dottoressa spostò il peso da una gamba all’altra, si avvicinò al letto e prese una mano a Cristiano.
E’ morta, ora mi dirà che mia madre è morta.
“Sua madre…”, la dottoressa si interruppe al suono della porta che si apriva. Si voltò a guardare chi entrava e Cristiano fece lo stesso.
Sua madre era ferma sulla soglia, con un braccio ingessato e una faccia da funerale.
“Cristiano…”
“Mamma, come stai?”
La dottoressa rispose per lei:
“Sua madre sta bene. Si è rotta un braccio e fratturata un paio di costole ma sta bene. Non è vero signora Elmetti?”
Sua madre fece sì con la testa e fissò Cristiano con aria rassegnata.
“Sto bene, sì…io sto bene.”
Allora perché avete quelle facce?
“Allora perchè avete quelle facce?”
“Signor Bonfanti”, riprese la dottoressa Franchi, sempre tenendogli la mano, “il volo che avete fatto le ha causato una frattura molto grave delle vertebre lombari. L’abbiamo operata immediatamente, ma…”
Cristiano si tirò su e fece per muovere le gambe. Non sentì niente.
“Dottoressa…”
“La lesione è molto grave, ha subito un danno midollare che per adesso non possiamo...”
“Non sento le mie gambe, non sento…non sento niente.”
“Stia calmo, ora le spiego cosa…”
“NO, cazzo, non voglio stare calmo!”
“Tesoro”, si intromise sua madre.
“Stai zitta!”
“Signor Bonfanti, non le nascondo che…”
“Uscite!”
“Cristiano…”
“USCITE! Vi ho detto di uscire da questo cazzo di stanza! FUORI!”
“Tesoro, capisco che sei sconvolto, ma non ti rivolgere alla dottoressa in questo..”
La dottoressa Franchi la interruppe:
“Signora, usciamo, lasciamo suo figlio un po’ solo.”
“Ma dottoressa, io…”
“Venga, ci prendiamo un caffé.”
La dottoressa prese la madre di Cristiano sotto un braccio e la trascinò fuori. Prima di uscire si voltò verso il letto e guardò Cristiano con i suoi occhioni azzurri.
Cristiano si sorprese a pensare che quegli occhi erano tanto belli quanto stanchi. Per un attimo pensò di chiederle scusa per come le aveva urlato contro. Ma prima che potesse articolare due parole, la dottoressa era già uscita e lui rimasto solo nella stanza.
Si toccò le cosce. Niente.
Si tirò una botta col pugno. Niente.
Con le mani prese a martoriarsi i polpacci. Niente.
“Maledizione! No, NO, NOOO!”
Cristiano iniziò a martellarsi con tutta la forza che aveva entrambe le gambe. Tirò pugni e pizzicotti e botte di ogni tipo, ma non sentì niente.
“Cazzo, cazzo, cazzo…”, urlò alla stanza vuota.
Poi si fermò esausto. Il respiro era veloce e ansimante. Cristiano provò per l’ultima volta a muovere un piede, ma non ci fu niente da fare.
Sentì le lacrime agli occhi e tentò di ricacciarle, ma non ci fu modo. Iniziò a singhiozzare e pensò che, no, non si trovava in paradiso come aveva creduto svegliandosi e vedendo la dottoressa vestita di bianco.
Quella era l’anticamera dell’inferno.
mercoledì 14 febbraio 2007
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Per non saper né leggere né scrivere¹ - L'era del tanghero |
di Enzo Fileno Carabba
Anche voi leggete libri sempre più corti, ammettetelo. Più brevi e più semplici. Quando ne leggete uno complesso vi sembra di aver fatto qualcosa di formidabile. Vi guardate in giro con un sorrisetto fiero aspettandovi che qualcuno vi dica bravo (aspetterete un pezzo). Di solito lo leggete d'estate, e a settembre lo raccontate a tutti. A settembre siete pieni di buoni propositi. Tutti a settembre venite da me e mi riassumete fino alla nausea libri meravigliosi. Dovrei espatriare, a settembre.
Però le ulteriori letture meravigliose e originali che avevate progettato sulla spinta dell'eroico periodo estivo si perdono con i primi freddi. Oppure, se la vita vi costringe a fingere di conoscere tutto (che esistenza miserabile, però) adottate tecniche di lettura veloce, una cosa perversa per cui sarete puniti nell'adilà.
Ah no? Mi dite che non è così?
Se non è così, se leggete mostruose quantità di libri complicatissimi come facevate qualche anno fa, allora me ne rallegro, vi faccio i miei complimenti. Vuol dire che siete bravi, ma anche fortunati. Siete dei privilegiati, la mamma vi rimbocca le coperte, avete ereditato i pozzi petroliferi della nonna Abelarda, vendete missili per guerre preventive, o mine antiuomo per diffondere la civiltà definitiva. Sono contento per voi. Mandatemi dei soldi. Fatemeli avere al più presto.
Sul versante della scrittura è la stessa cosa. Se prima scrivevate, ora scrivete di meno. Non dite di no. A meno che non siate diventate degli autori di best seller, o non siate dei nababbi per conto vostro, voi scrivete sempre meno. Se mai avete scritto.
Quando dico voi, intendo in qualche modo gli addetti ai lavori, gente che più o meno ha sempre gravitato attorno ai libri. Gente che è cresciuta leggendo, o scrivendo.
Se voi stete ridotti così, e io sono uno di voi, figuriamoci gli altri.
La verità è di questi tempi la nostra vita non è concepita per leggere e per scrivere. Soprattutto non è concepita per leggere, perché per leggere ci vuole una grande generosità, una grande disponibilità, mentre a volte chi scrive è mosso solo da un feroce narcisismo, perfettamente in linea con i tempi.
È il ritmo della nostra esistenza che è micidiale. Non c'è bisogno che te lo dica io però te lo dico lo stesso. Se entri in un ufficio qualsiasi, tanto per dire, sei accolto da vari strati di suoni meccanici e nevrotici che fanno da sottofondo a attività insensate che ci sembrano della massima importanza. Quei suoni non li avvertiamo neanche più, ci sembrano normali. Invece sono il sintomo di un ottundimento collettivo.
Noi siamo una civiltà in cui il massimo piacere per la maggior parte degli uomini è trovare parcheggio. È quando troviamo un posto nel groviglio cittadino che veramente esultiamo, anche quelli che leggono Seneca (io non ne conosco, comunque).
Noi siamo una civiltà che per la prima volta della storia si vergogna degli oggetti che produce: bottiglie di plastica, lattina, pannolini che resistono millenni, e così via.
Noi siamo una civiltà che ha prodotto persone che hanno paura a entrare in posti dove il telefonino non ha campo. E a volte si tratta di baldi giovani che amano gli sport estremi, cosidetti estremi.
Questo per parlare dei piccoli segni.
Sembra che un'intelligenza maligna orchestri le noste vite per impedirci di coltivare la capacità di concentrazione.
Cosa volete che leggiamo e che scriviamo.
Tengo corsi di scrittura, in poche parole faccio scrivere racconti e poi ci ragioniamo su. Prima insegnavo solo agli adulti. Da qualche anno lo faccio anche nelle scuole superiori. Ho visto che per la maggior parte delle persone, concentrarsi a lungo è impossibile. Nessuno segue più un ragionamento completo. Ma non perché sono scemi, non sempre almeno. È come se il ragionamento non fosse più richiesto, non fosse più utile.
Un ragionamento vuole che da un punto A, passi al punto B, poi al C e infine al D. Questo non è più possibile, o avviene solo in circoli ristretti, sempre più simile a sette. Normalmente tutti si avventano sul punto A, per dimostrare di esistere, seguendo un modello di comportamento televisivo, quando non restano segregati dietro muri di apatìa.
A proposito della televisione, mi rendo conto che non è originalissimo tirarla in ballo. Ma non è più il tempo per essere originali. Un mio amico sostiene una tesi interessante: la televisione andrebbe bene se per guardarla tu dovessi, mettiamo, piegarti su un tubo che esce da terra. Se la televisione comportasse un minimo sforzo, anche solo fisico, invece dello stravaccamento in poltrona che tu ben conosci, allora andrebbe bene.
Dicono: ma se vuoi la spegni.
NON È VERO! Maledette teste a pinolo! Dato che tutti la guardano, anche se tu non la guardi sei comunque circondato da quelli che la guardano. Sono loro che comandano, i tangheri ti dicono come vivere. "È l'era del tanghero" dice il mio amico.
¹Per non saper né leggere né scrivere è una frase che diceva sempre mia nonna, a cui dedico questo testo.
martedì 13 febbraio 2007
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VI - Milano - Roma Solo Andata |
Il suono dell'acqua che proveniva dalla doccia gli ricordò Erika. Quando al mattino lei si svegliava presto e lui poltriva tra le coperte e lei in bagno si preparava per uscire.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che era successo? Meno di un anno, ma gli pareva un'eternità.
E ora nella doccia c'era di nuovo una donna: sua madre.
Cristiano ripensò alla notte appena trascorsa. Non aveva dormito niente. Lei aveva russato come un trattore, mentre lui si era rigirato nel suo lato del letto, ripensando all'ultima settimana, a sua nonna, alle parole che gli aveva detto l'ultima volta che l'aveva vista.
Sentì sua madre canticchiare sotto la doccia e tutti i buoni propositi di provare a iniziare un rapporto con lei andarono a farsi benedire.
“Mamma!!!”, provò a urlare.
Ma il rumore dell'acqua copriva ogni altro suono.
No, non posso ospitarla un minuto di più; una notte è stato anche troppo. Appena esce da quel cazzo di doccia, se ne deve andare.
D'istinto afferrò il cellulare e cercò nella rubrica un numero che aveva composto di rado ultimamente. Inviò la chiamata e ascoltò il segnale di libero con apprensione, come ogni volta che parlava con lui. Al quinto squillo sentì la voce imperiosa di suo padre rispondere:
“Bonfanti”
Non avrà neppure il mio numero in memoria e gli sarà apparso una sequenza di cifre per lui sconosciute.
“Papà?”
“Chi è?”
Madre Teresa di Calcutta! Chi cazzo ti chiamerà papà se non il tuo unico figlio?
“Papà, sono Cristiano”
Silenzio.
“Papà?”
“Cristiano, sono in cantiere e sono abbastanza occupato, quindi se non è davvero urgente ti prego...”
“E' davvero urgente”, lo interruppe Cristiano.
Di nuovo silenzio.
“Dimmi”, disse alla fine suo padre.
Cristiano inspirò profondamente e parlò veloce mangiandosi le parole:
“La mamma è venuta da me, a Milano.”
Cristiano sentì delle voci confuse in sottofondo e poi suo padre:
“Porcatroia, Roberti, vuole portarmi quei preventivi del cazzo prima che faccia notte?”
A Cristiano sembrò che le voci che risposero fossero deferenti e impaurite. Come la sua.
“Dimmi”, tornò a dire suo padre.
“Ti ho detto, papà, dopo che hai cacciato la mamma, lei si è precipitata qui a Milano da me.”
“E allora?”
“E allora?!?!?”, Cristiano sospirò, “avevamo stabilito che poteva rimanere alla villa finché non trovava una sistemazione migliore...”
“Pare che l'abbia trovata...”, ironizzò suo padre.
“Intendevo a Roma, non a Milano”, rispose Cristiano stizzito.
“Senti, io ho da fare, Cristiano, vedi tu come fare...non posso mica risolvere tutti i tuoi problemi?!?”
“I miei problemi?”, la voce gli tremò.
Cazzo, papà, questi sono i VOSTRI problemi.
“Arrivo subito, ditegli che arrivo.”
Suo padre non lo stava neppure ascoltando.
“Papà?”
Silenzio.
“Papà?”
“Eh?!?”
“Senti, papà, ti prego, fai stare la mamma alla villa ancora per un paio di settimane, giusto il tempo per organizzarsi.”
Fece una pausa:
“Per favore”, aggiunse.
Il silenzio che seguì fu interminabile e Cristiano pensò che la comunicazione fosse caduta. Poi:
“Senti, Cristiano, mi chiamano, devo andare. Dì a tua madre che può tornare alla villa, ma la voglio fuori dai coglioni entro una settimana, ci siamo capiti?”
“Sì, ci siamo capiti.” Poi si sentì in dovere di aggiungere:
“Grazie.”
Ma suo padre aveva già chiuso la comunicazione senza nemmeno salutare.
Cristiano rimase per qualche secondo a fissare il cellulare.
“Santiddio, questo bagno è così angusto, come si fa a lavarsi e vestirsi come Dio comanda!”
Cristiano guardò la madre sulla porta del bagno. Il vestito che indossava sembrava appena uscito da una lavanderia.
“Mamma, fai la valigia. Torni a Roma.”
“Cosa?”
“Ho chiamato papà, ha detto che puoi tornare alla villa...”
“Cristiano non ho intenzione di tornare in quella casa per esserne cacciata di nuovo come fossi una poco di buono...”
Cristiano sospirò:
“Puoi rimanere una settimana, ma nel frattempo devi trovarti una sistemazione. Non ho intenzione di richiamarlo fra 10 giorni per elemosinare al posto tuo.”
“Sei sempre il solito Cristiano. Sei brusco e scontroso. Come se io non avessi mai fatto niente per te in tutti questi anni.”
Cristiano si morse la lingua così forte che temette di staccarsene un pezzo.
“Mamma”, disse infine, “ti accompagno alla stazione, andiamo...”
“Ma...come? Così? Subito?”
“Mamma, niente storie. Ti porto alla stazione e ti metto sul primo treno per Roma.”
Dopo 20 minuti erano in macchina sulla tangenziale. Sua madre non era stata zitta un momento:
“Comunque tuo padre è del tutto inaffidabile. Se almeno potessi contare sul fatto che..:”
“Mamma”, sospirò Cristiano superando una seicento, “riesci a stare cinque minuti in silenzio e ringraziare il cielo che ho convinto papà a...”
“Cristiano, hai solo fatto una chiamata, non fare di un granello una montagna. Avrei anche potuto sistemare tutto da sola. Ti sei impicciato senza nemmeno chiedere; non hai mai pensato che forse non volevo tornare alla villa, che forse ho bisogno di un cambiamento? Sei come tuo padre, sei...”
“Mamma, ti prego, fai silenzio! Non mi provocare ulteriormente.”
“Santiddio, Cristiano, non mi rispondere così. Sono sempre tua madre e...”
Cristiano si voltò di un quarto a guardarla e non seppe se buttarla giù dall'auto in corsa o strangolarla con la cintura di sicurezza.
“Ti ho messo al mondo, Cristosanto, non credi che...CRISTIANOOOOOOOOOOOOOO!!!”
Cristiano tornò a guardare la strada ma era troppo tardi. La curva era ormai a ridosso e la macchina sfondò il guardrail e volò in aria.
L'ultimo pensiero di Cristiano fu che, come con Erika, tutto stava per finire.
martedì 6 febbraio 2007
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V - Indovina Chi Viene A Letto |
“Ohhhhhhhsììììììììì, dai…fammi godere…non smettere…”
Cristiano guardò le tette della bionda sul video della TV e continuò a spararsi la sega distrattamente. Non gli veniva duro e continuava a menare su e giù un pezzo di carne molliccio.
Aveva pensato che infilare il dvd di “Orgasmi Africani” avrebbe potuto rilassarlo e fargli scacciare i mille pensieri che gli affollavano la testa. Ma le labbra siliconate della tettona sul cazzo del maschione nero non bastavano a distrarlo.
Il campanello della porta suonò lasciandolo interdetto. Guardò l’orologio.
Chi rompe le palle alle undici di sera?
Premette pausa sul telecomando del dvd, si infilò l’uccello negli slip e aggiustandosi i jeans andò alla porta del suo monolocale. Aprì senza nemmeno chiedere chi fosse.
Quando vide la faccia inebetita di sua madre davanti a lui, ebbe la tentazione di sbatterle la porta in faccia.
“Ma…mamma…”, balbettò, “che…che cosa ci fai qui?”
Sua madre non rispose e fece due occhi da cerbiatto per intenerirlo.
Era riuscito a convincere suo padre a farla restare alla villa finché lei non avesse trovato una sistemazione; poi aveva preso il primo treno ed era tornato alla sua vita insulsa.
“Che cosa ci fai a Milano?”, ripeté lui.
“Io…io non sapevo dove andare.”
Fece una pausa, poi lasciò il tono sommesso per riprendere il suo piglio abituale:
“Santiddio, Cristiano, vuoi lasciarmi sulla porta? Fammi almeno entrare così parliamo…”
Cristiano pensò che non aveva poi molte alternative, così si scostò e la fece passare.
Si rese conto troppo tardi che la bionda era ancora nell’immagine sul teleschermo e, a giudicare dal pompino che stava facendo, sarebbe stato difficile farlo passare per un documentario sull’anatomia umana.
Vide lo sguardo di sua madre posarsi sul video, poi lei balbettò qualche sillaba a caso:
“Ma…mi…che…il…”
“Mamma, è un cazzo, non ne hai mai visto uno?”, gli uscì troppo velocemente dalla bocca e subito si pentì.
“Cristiano, togli subito quella…”
Cristiano premette STOP sul telecomando prima che sua madre potesse finire la frase, poi, per la terza volta, le chiese:
“Mamma, cosa sei venuta a fare qui?”
Lei parve dimenticarsi istantaneamente di cazzi e pompini e si tolse la pelliccia come fosse a casa sua buttandola sul divano dove un attimo prima Cristiano si stava masturbando.
“Oddio, tuo padre…quell’uomo è un demonio, non ha un minimo di comprensione…ha aspettato che te ne andassi per cambiare bandiera e cacciarmi.”
Fece una pausa significativa aspettando che Cristiano dicesse qualcosa. Lui rimase zitto, così lei riprese:
“Mi ha detto che se pensavo di starmene ancora alla villa ora che tua nonna non c’è più, mi sbagliavo di grosso.”
La voce le si ruppe. Non fece niente per ricacciare le lacrime dentro gli occhi:
“Mi ha messo un paio di vestiti in valigia e mi ha letteralmente buttato per la strada.”
Cristiano sospirò. Perché doveva entrare nelle beghe di quei due? Che cazzo le aveva detto il cervello a sua madre di prendere il treno e venire a Milano?
“Mamma, ti accompagno in un albergo, domattina ne riparliamo con calma, ok? Ora sono troppo stanco.”
“Cristiano”, disse sua madre tirando su con il naso, “tuo padre mi ha bloccato tutte le carte di credito, non ho più un soldo, sono a mala pena riuscita a comprare il biglietto del treno…”
Cazzo!
“Ti cerco un motel e ti pago io la notte e domani…”
“Un motel?!?”, sua madre si alzò di scatto, “non vorrai per caso mandarmi in una di quelle bettole dove vai tu quando sei in vacanza?”
Ma porcaputtana…
Rimasero a fissarsi per quella che a Cristiano parve un’eternità.
E ora che cazzo faccio?
La voce di sua nonna gli risuono in testa: dai a tua madre una seconda possibilità. Inaspettatamente gli uscì di bocca:
“Mamma, puoi dormire qui per stanotte.”
Gli sembrò che sua madre non avesse capito, quindi glielo ripeté.
“Vuoi che dorma qui stanotte?”
“Dire che voglio mi pare eccessivo, ma non ho abbastanza soldi per pagarti la suite imperiale dell’Excelsior, quindi…”
Sua madre si guardò intorno come a chiedersi dove avrebbero dormito in due in quel buco. Cristiano le lesse il pensiero e indicando il divano disse:
“Diventa un letto matrimoniale.”
Fece una breve pausa e aggiunse a malincuore:
“Dovremo dormire insieme.”
Sua madre tornò la donna di sempre:
“Santiddio, Cristiano, ti ho messo al mondo io, non credo proprio che avremo problemi.”
Cristiano sospirò e pensò che a questo punto avrebbero potuto pure concludere la serata guardandosi “Orgasmi Africani” insieme.