Il prossimo che mi dice che, quando conosci una persona e senti squillare fanfare e trombe e vedi cuoricini negli occhi di tutti, significa che è scoccato il colpo di fulmine, lo metto su una pira e gli do fuoco.
Sabato scorso ho conosciuto un ragazzo che nemmeno nella migliore tradizione dei serial televisivi adolescenziali poteva essere più bello. Ci vado a cena, passiamo una notte infuocata di sesso insieme e dopo una settimana di telefonate, sms, messanger su internet con toni simili a quelli di due fidanzatini delle medie, mi snocciola il seguente rosario:
- uno, non vive a Roma come me, era semplicemente in visita di un amico;
- due, ha già la ragazza fissa. Lei fa la vigilessa a Firenze dove vivono entrambi;
- tre, il padre della sua ragazza è in ospedale e lui in questo momento è confuso e non può farle questo e deve starle vicino perchè ha un impegno nei suoi confronti.
'A stronzo, ma i sensi di colpa non ti sono venuti mentre mi scopavi sabato scorso?
Mi ha assalito un'angoscia che nemmeno il tacchino prima del giorno del Ringraziamento.
Poi mi sono detta, ma con chi cazzo crede di avere a che fare?
Così stamani sono andata alla stazione, ho comprato un biglietto per Firenze e mi sono presentata nella sua città senza anticipargli minimamente niente. Quando gli ho mandato un messaggio per comunicargli la lieta novella, pensavo che si sarebbe incazzato. Invece corre a prendermi alla stazione e con quel suo sorriso del cazzo stampato in volto mi dice che posso fermarmi lì e dormire da lui. Tanto la vigilessa è a dirigire il traffico a casa di sua mamma per aiutarla con il padre moribondo.
E io penso, ok...stanotte almeno scoperemo di nuovo.
Invece arriviamo a casa sua e inizia a fare discorsi senza nè capo nè coda.
Prima mi dice che io sono un gradino sopra tutte le altre, ma in questo momento di crisi con la sua lei, lo destabilizzo. E questo posso accettarlo.
Poi mi dice che ha bisogno di tempo per chiarirsi con se stesso. E anche questo posso accettarlo.
Poi sospirando mi rimette insieme che ha sbagliato a fare sesso con me lo scorso weekend. E, con grande sforzo, accetto pure questo.
Ma poi pronuncia la frase che ogni ragazzo con un minimo di sale in zucca sa che non bisogna mai rivolgere a una ragazza: dice che vuole che proviamo a iniziare come amici. E questo, IO, non lo accetto.
A quel punto ho chiamato un taxi per tornarmene più veloce della luce a Roma, ma quando mi sono ritrovata per strada ci ho ripensato. Di solito non compio azioni sconsiderate, ma stamani non ci ho davvero visto più dalla rabbia.
Davvero gliela davo vinta così?
Ho chiesto al taxi di aspettarmi un quarto d'ora.
Sono andata al distributore accanto a casa sua e ho chiesto al benzinaio una tanica di verde che ero rimasta ferma. Sono tornata a casa sua e ho iniziato a innaffiare le pareti. Hai voluto il villino a piano terra? cazzi tuoi!
Quando ho citofonato e lui ha aperto la porta, senza batter ciglio gli ho rovesciato addosso la benzina rimanente.
E' stato bellissimo vedere quei cazzo di occhioni azzurri che mi fissavano impauriti.
Ho preso una sigaretta e me la sono infilata in bocca. Poi ho acceso un fiammifero e ho aspettato. Lui ha balbettato qualcosa. Io ho soffiato sulla fiamma per spengerla ed è stato allora che lui ha rilasciato le viscere.
E allora ho pensato: biglietto Roma Firenze andata e ritorno, 60 euro con mastercard. Pieno di benzina senza piombo in tanica, 40 euro con mastercard. Taxi che ti aspetta per quasi venti minuti e poi ti porta alla stazione, 30 euro con mastercard. Vedere il ragazzo che ti ha preso per il culo cagarsi addosso, non ha prezzo.
martedì 26 giugno 2007
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a S. ('a Stronzo) |
domenica 17 giugno 2007
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Donna in Corriera - III |
La montagna di vestiti già provati e scartati aumentava ai suoi piedi. Dopo un’ora e mezza di prove era sudata come un camionista in viaggio da Roma a Milano, in pieno agosto, epoca fine anni 70 quando ancora l’aria condizionata era un lusso riservato a pochi eletti e l’unico attrezzo in commercio in grado di creare l’illusione di un po’ di frescolino era il ventilatorino attaccato al vetro con la ventosina e direzionato in pieno viso del povero diavolo.
Insomma, si ricacciò sotto la doccia, poi ripescò dal mucchio sul pavimento il pantalone nero, la camicetta bianca e la giacca nera e, soddisfatta, uscì.
Quando entrò in ufficio le gambe le facevano Giacomo Giacomo. Il suo primo giorno di lavoro, dopo tanti anni, che emozione !
Le vennero presentati tutte le colleghe e i colleghi. Si sforzò di imprimere nella mente almeno una parte dei nomi ben associati ad ogni volto ma non ne ricordò nemmeno uno. Venne catturata dal capo vendita che le consegnò un elenco del telefono, due penne e altri attrezzi del lavoro, due o tre chili di listini e una chilometrica lista di nominativi da contattare.
Iniziò così e da quel giorno la sua vita prese un’altra piega. Di Marco, a parte la posta a lui indirizzata, più nessuna notizia.
Fino al giorno in cui…
Stava uscendo dall’ufficio di un cliente e se lo ritrovò di fronte: “Ma quarda guarda chi si vede… e che forma splendida!
Lara si limitò ad un frettoloso: ciao Marco, tutto bene?
“Alla grande. Anche tu, vedo. Prendiamo un caffè insieme ? come due vecchi amici… ”
“No scusa ma ho fretta, un appuntamento di lavoro tra venti minuti all’altro capo della città”
“Un lavoro? Complimenti. Ma a quest’ora non ce la farai mai con la corriera, vieni ti do un passaggio”
“No grazie non preoccuparti, ce la farò. Ciao ”
“Ok. Magari ci vediamo uno di questi giorni… quando vengo a ritirare la posta”
Lara non rispose, si diresse verso una Volkswagen verde pisello, vecchiotta ma ancora in buono stato e… decorosa, a suo modo. Entrò, con stupore di Marco, al posto di guida, mise in moto e con due manovre, precise al millimetro, uscì dal parcheggio.
Quando passò di fronte ad un Marco semiparalizzato dalla sorpresa, Lara aprì il finestrino e gli disse: “A proposito, non credi che sarebbe ora di comunicare all’ufficio postale il tuo nuovo indirizzo ?”, quindi se ne andò. Dallo specchietto retrovisore vide che Marco era ancora immobile, lì dove lo aveva lasciato. Le sembrò molto meno alto e grosso: più lei si allontanava più lui era piccolo. Poi l’auto svoltò l’angolo e Marco scomparve.
Rifletté sulle sue parole: “… come due vecchi amici”.
“Sì, amici un cazzo!” pensò “un amico mi avrebbe almeno insegnato a guidare”
venerdì 15 giugno 2007
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Donna in Corriera - II |
La cassetta delle lettere era stracolma, come al solito, e Lara - come al solito - la ignorò.
Era l’inquilina del pianterreno, la signora Bartolini. Di certo l’aspettava al varco, acquattata dietro la porta, con l’occhio strabico appiccicato allo spioncino. In un primo momento pensò di mandarla in culo per direttissima, poi ci ripensò: “Ohhh, ha ragione, mica me ne ero accorta, grazie”. Tornò su suoi passi, aprì la cassetta e una valanga di carta la investì.
Salendo le scale Lara diede una sbirciata alla posta che teneva tra le mani. Bollette, depliant pubblicitari, resoconti della banca, due cartoline e una paccata di posta per Marco. Ancora !!
Questa storia cominciava ad infastidirla seriamente: non abitava più lì da otto mesi, ovvero da quando si erano lasciati, e il signorino ancora non aveva fatto la variazione di residenza. Era come se non volesse tagliare del tutto quel cordone che li aveva uniti per tanti anni e questo atteggiamento le faceva venire in mente la storia di pollicino e le sue molliche di pane.
Forse avrebbe dovuto pensarci lei, andare all’ufficio postale e comunicare il nuovo indirizzo di Marco, ma non aveva il coraggio di farlo per paura di ferirlo.
Marco… chissà che avrebbe detto del suo nuovo lavoro. Indubbiamente avrebbe cercato di smontarla “Vuoi fare la donna in carriera ? ah ah ah... in carriera... con la corriera... ahahaha”
Al suo fianco si era sempre sentita una nullità, anche soltanto per la stazza: Marco era alto e grosso e importante. Lui era perfetto, lei era tutta sbagliata.
Ogni volta che esprimeva il desiderio di iniziare a lavorare, lui le diceva: “Ma lascia perdere, io guadagno abbastanza per tutti e due. E poi la casa ha bisogno di una regina… ”.
Regina ? la schiava, semmai. Ogni scusa era buona per farla sentire una incapace; come quando discutevano della sua paura di guidare: lui la prendeva in giro la stuzzicava, ma quando Lara gli chiedeva di farla provare a guidare e di aiutarla a superare il timore, Marco trovava sempre qualche pretesto per non farlo.
Adesso capiva che era così che lui la voleva : totalmente dipendente.
Infilò la chiave nella serratura e come di rito chiuse gli occhi. Nell'ingresso li riaprì e lo sconforto si impadronì di lei: la fatina con la bacchetta magica non era apparsa nemmeno oggi. L’appartamento si presentava con lo stesso, caos di sempre. Artistico forse, ma pur sempre caos.
Il gatto la accolse con uno dei suoi agguati ma ci rimase molto male . Leo, gattone rossiccio, bello ma rompipalle, faceva sempre cosi : attendeva che Lara entrasse in casa e con un balzo spuntava all’improvviso dalla porta della cucina, le addentava le gambe e poi scappava.
Quel giorno Lara aveva gli stivali.
Dedicò il fine settimana a fare le pulizie di primavera... quella dell’95 ! e anche fuori stagione visto che era quasi natale. Fu una sorta di mission impossible ma ne uscì vittoriosa. Erano le dieci di sera di domenica quando finalmente si fermò. Si guardava intorno soddisfatta, non le sembrava più nemmeno la stessa casa, tutto quell’ordine ricordava la casa di Barbie, mancava solo Ken! Lara respirava beata quel profumino di pulito. Ahhh, da quanto tempo non si sentiva così.
Si lasciò andare di schianto sulla poltrona e... mmmmmiiiaaaaooooooo ! vide il gatto schizzare verso l’alto, fare un triplo salto mortale e subito dopo, scivolando sul pavimento lucidissimo, dirigersi come un razzo verso il terrazzino. Povero Leo… Lara si sentì un pochino in colpa ma le venne da ridere per la scena e poi, pensandoci bene, almeno per quella sera il gattastro l’avrebbe accuratamente evitata.
mercoledì 13 giugno 2007
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Donna in Corriera - I |
“Benvenuta nella nostra grande famiglia : l’aspettiamo lunedì allora...."
Il direttore commerciale le strinse la mano, Lara uscì con il cuore in gola, felice; non era proprio il lavoro che cercava ma per il momento poteva andare.
Si vedeva già donna in carriera, sicura di sé, realizzata, ammirata, indipendente; avrebbe conosciuto tante persone e allargato i propri orizzonti.
Camminava spedita con la testa piena di idee e progetti. Di fronte ad una vetrina scorse la propria immagine riflessa e si accorse del sorriso che involontariamente le si era impresso sulle labbra.
Pensò e ripensò all'incontro, al colloquio, alla scheda che aveva compilato... Già, la scheda! Il sorriso scomparve. Aveva mentito spudoratamente! Ma era l’unica cosa da fare: alla domanda "Automunita ?" aveva barrato la casella “Sì”. Beh! in fondo era vero: l'auto ce l'aveva la patente anche... quello che le mancava era il coraggio di mettersi al volante.
In tutta la sua vita aveva guidato si e no dieci volte, comprese le 9 lezioni e 1 esame di guida.... Stop! Il giorno che le arrivò la patente andò a comprare un’auto di seconda mano, di un colore impossibile - ma quello era ciò che passava il convento -. La ritirò dopo una settimana, la guidò dal concessionario fino a casa dei suoi e la parcheggiò nel cortile condominiale. Dove tutt’ora giace. Guidare, in realtà, non le era mai interessato veramente, aveva sempre avuto fidanzati e amiche automuniti, inoltre le piaceva camminare e quando le gambe non bastavano aveva sempre ovviato con il treno o la corriera...
Insomma, fino ad oggi l'aveva sempre sfangata ma si rese conto che era arrivato il momento di fare i conti con il proprio bloccasterzo mentale. L’incarico richiedeva spostamenti non solo in città ma anche fuori, e l’auto, come le aveva detto e sottolineato il direttore dell’azienda, era fondamentale!
Porcaccia la miseria, il solo pensiero le fece venire uno strizzone di pancia.
Entrò di corsa nel primo bar che vide, inciampò nella soglia e, dopo un volo che le parve interminabile, atterrò stile rondine su uno dei tavolini stile liberty apparecchiati per il brunch.
Quando aprì gli occhi vide un angelo. Oddio, pensò, sono morta. Sono finita sotto un tir, adesso sono in paradiso (chi l’avrebbe mai detto!) e questo è l’angelo che mi accompagnerà al mio monolocale sulla via lattea, con vista panoramica su Nettuno.
“Signorina, come và?”. "Oh, benone, grazie… e lei ?".
Il tipo ridacchiò: "Io non sono svenuto, lei si"
"Mamma che figura ! Sono caduta, vero?"
"Beh, si… ma con stile, le assicuro".
Lara si toccò la fronte e dal bernoccolo sporgente capì che era andata giù di testa come una meteora e non per metafora. In compenso lo stimolo che l'aveva fatta precipitare nel bar era scomparso.
"Lo vuole un bicchiere d’acqua?”
"Si, grazie"
Si accorse che era molto molto carino. Stava già facendosi il suo film mentale quando un secondo angioletto con due spalle così le porse gentilmente il bicchiere di acqua. Lara lo squadrò ben bene. Constatò che, in quanto a bellezza, non aveva niente da invidiare al primo soccorritore e si immaginò già contesa dai due, innamorati persi di lei. I due ragazzi la aiutarono a mettersi in piedi, le chiesero se aveva ancora bisogno di aiuto, quindi la salutarono, le fecero gli auguri e uscirono dal locale mano nella mano.
Lara li seguì con lo sguardo, la faccia da ebete ed un velo di delusione negli occhi.
Con la mano sul bernoccolo si avviò verso la fermata del bus continuando a pensare a quei due: certo che erano proprio belli insieme, una coppia perfetta... come Stanlio e Ollio, Ginger e Fred, Sussi e Biribissi, Cip e Ciop, Kit e Kat e la mozzarella sulla pizza. Perfetti, si ! che peccato però: con tutta la fame che c’era in giro!
Forse prese la corriera o forse ci arrivò a piedi fatto sta che, senza nemmeno accorgersene, si trovò di fronte al portone di casa.
La cassetta delle lettere era stracolma, come al solito, e Lara...
sabato 9 giugno 2007
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Sangue a West Hollywood - IV |
di Daniel Bloom
Ne avevo viste di case fatiscenti ma quella era un vero disastro, siringhe monouso dappertutto, un letto ricavato da dei cartoni, al muro una riproduzione dozzinale incorniciata di qualche dannato pittore europeo. C’è un odore insopportabile di muffa e cibo avariato.
Il ragazzo era disteso per terra con gli occhi fissi al soffitto, dalla camicia bianca spuntava un foro bruciacchiato con del sangue ancora fresco. Qualcuno era arrivato prima di me, probabilmente gli avevano sparato con un silenziatore. Quel diario bruciava. Ormai era chiaro.
Non c’era traccia di nessuno, qualcuno l’aveva fatto fuori e se ne era andato in tutta fretta. Perché?
Era un fottuto rompicapo ma non avevo tempo per pensarci. L’unica cosa era capire se il diario era ancora lì o era stato già requisito. Misi i guanti per non lasciare impronte.
Con la destra tenevo la mia colt ben ferma e con la sinistra iniziai a frugare in tutta quell’immondizia. Stavo sudando come una puttana, “stai calmo Daniel, calmo,” mi dissi.
Da un cassetto spuntarono, raccolte e legate con uno spago, una ventina di buste. Ne aprii una. La calligrafia era ordinata, le lettere grandi.
Caro Michael,
tuo zio Gorge ed io siamo molto contenti che le cose ti stiano andando per il verso giusto. Non abbiamo capito che tipo di lavoro stai facendo ad Hollywood. Quando potremmo vederti finalmente sullo schermo? Sai, zio George è impaziente.
Ci manchi tanto, purtroppo non abbiamo ancora i soldi per venirti a trovare ma spero che presto tu possa venirci a fare visita. La tua camera è ancora lì pronta ad accoglierti.
Ti abbraccio forte
zia Mary
Chissà che balle aveva inventato quel povero balordo. Era solo, l’ennesimo povero ragazzo di provincia alla ricerca di fortuna, un’altra vittima del sogno americano, un’altra vittima di quell’infernale città degli angeli.
Il ragazzo si era infilato in quella storia e adesso io con lui.
Continuai a cercare. Solo cianfrusaglia e libri di poesia da finocchi. Del diario nessuna traccia, volevo schiodarmi da quel posto, pensai dove avrebbe potuto tenere nascosto una cosa così importante un tipo come lui. Poi a un tratto un’illuminazione. Cercai il dipinto con quella specie di alberi in decomposizione, spostai verso me la cornice e come un sasso vidi cadere un libercolo con la copertina blu.
Era un semplice quaderno, aprii per vedere che cosa c’era dentro. Formule, formule e formule chimiche, che diavolo, non una cazzo di lettera riconoscibile né un nome o una data.
Come avevo sospettato era qualcosa di veramente grosso anche per me.
Presi il diario lo nascosi nella tasca interna e con estrema calma mi avvicinai alla porta. Dovevo squagliarmela velocemente da quella fogna.
mercoledì 6 giugno 2007
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Senso civico |
Era come un faro di quelli che pur costruiti sulla costa sono circondati dal mare, una luce così forte che non penseresti possa provenire dall’appartamento del piano di sopra e sparata giungere anche sul palazzo di fronte distante un giardino, una strada ed un altro giardino. Il palazzo era dipinto di bianco e illuminato di bianco, come quei grandi teli dove si proiettano i film d’estate quando fa caldo e lo sfarfallio della proiezione è fatto di vere farfalle notturne.
Oltre il palazzo passavano sul cielo le piccole luci di aerei e stavano ferme due, tre stelle e uno spicchio di luna, tutto attorno c’era l’odore pregno di pesce fatto alla griglia.
Il faro teneva di mezzo le ombre di chi nell’appartamento andava e veniva, potevano essere due persone, architettavano qualcosa, sospetti erano anche i rumori che si sentivano improvvisi. Le ombre cadevano sul palazzo di fronte con dimensioni che non erano loro, venivano moltiplicate e di molto, si pensi che una testa proiettata andava ad occupare più di un metro, risultavano così delle figure enormi che non sembravano neppure vere eppure parevano più che vive, da quanto si muovevano.
Di una donna, è probabile che un’ombra fosse di una donna perché la testa tradiva i capelli ben lunghi, e poi un uomo la cui testa i capelli restavano corti, solo due persone andavano avanti e indietro sotto i riflettori, sparate ed ingrandite sul muro.
Io credo che il sapere di essere trasmessi, seppur in bianco e nero, avrebbe loro interdetto l’agire perché quel che fecero, a farlo sapere in giro, non credo ci tenessero.
Appena dopo il fatto una macchina col motore acceso si fermò proprio all’entrata del palazzo.
Rumori pesanti e sospetti si rincorrevano per le scale.
112, 113, 118 quali sono i numeri da chiamare in questi casi?
Quanto il tempo da aspettare? E cosa dire?
“ Credo che quelli di sopra stiano facendo qualcosa di illegale! Credo abbiano accoppato uno! Credo che il tappeto arrotolato che stanno caricando in auto sia troppo pesante per essere solo un tappeto! Sì, leggo i romanzi gialli, Camilleri, Lucarelli, anche Faletti per non parlare di quelli stranieri. Sì, guardo Colombo, Derrik, Carabinieri 6, La Squadra 4, CSI, RIS, Cold Case, NCIS, Rocca, Montalbano sono, Don Camillo, Un giorno in pretura e Chi l’ha visto.
Questi ultimi non sono telefilm? Davvero? ”
Qualche giorno dopo quella sera piena di luci e rumori la polizia venne per un sopraluogo perché una soffiata anonima face annusare la pista giusta agli ispettori.
Senza di questa avrebbero brancolato nel buio, ora invece erano risoluti ad assicurare alla giustizia i rei che altrimenti, in barba alla legge, l’avrebbero fatta franca tagliando la corda.
Un poliziotto venne a suonare al mio numero, dal citofono mi apparve l’uniforme e nell’attesa che salisse al piano mi colse l’istinto di sbarazzarmi di tutto quello che non era bene che un agente vedesse, però in quei pochi secondi non trovai nulla valesse la pena nascondere, forse se avessi avuto almeno più tempo…
Il poliziotto con risoluta gentilezza mi chiese se in quei giorni avessi notato qualcosa di sospetto, movimenti inconsueti o rumori strani.
Senza esitare gli dissi di no.