I Ciechi - VII
L’istinto mi fece portare la mano ai genitali per assicurarmi che ci fossero ancora. Mai mi ero soppesato i coglioni con tanto piacere!
Questa gente era fatta peggio di me e il loro fottuto specchio era solo un'olografia della solita foto di Denise. I capelli, i vestiti e la posizione erano quelli della foto. Mi mossi alzando un braccio. L’immagine riflessa rimase immobile, poi con uno scarto di qualche secondo seguì il mio movimento.
Mi voltai verso i presenti con espressione trionfante, sicuro che avrebbero accolto la sconfitta con dignità. Ma eravamo rimasti in pochi.
I soliti due pesci lessi dall’aria finto angelica, la vecchia presa dal suo ruolo e l’uomo "non male" dalle caviglie fini e dal pastrano fuori moda. Avrei voluto assomigliargli un po’, almeno nell’aspetto, forse Denise si è lasciata affascinare da questo stronzo con le lenti bianche. Invece di stare con me e vivere felici; io sempre sbronzo e lei sempre cotta e magari anche incinta. Sarebbe stato bello invitare questo stronzo a cena una sera e vomitare l’anima sul tavolo appena arrivava. Denise avrebbe potutto farsi un bel trip davanti a lui e magari dargliela per una dose. La gente così cerca l’emozione; allarga sempre il portafogli davanti a quelli come noi.
Mi incominciò a montare la rabbia. Quella cieca appunto, ma per davvero. Quella che non aveva bisogno di espedienti pseudo paranormali per trovarsi ad uccidere qualcuno. Si era cavata gli occhi la mia donna e questi erano ancora in libertà a giocare con gli specchi. Non sapevo ancora se erano stati loro o lei stessa a immaginare e mettere in pratica quello sconcio che a me era toccato trovare riverso sul pavimento della camera.
Con un largo sorriso mi rivolsi alla vecchia che sembrava davvero affranta dal mio comportamento. Mi guardava come si guarda un bambino che non vuole giocare al gioco che gli adulti gli vogliono imporre. "Oh, vecchia non lo vedi che so’ io? Ti ricordi i’ Riccardo? Sono sbronzo ma non son mica cotto come la Denise sai!"
Si erano tutti coalizzati contro di me e non mi riusciva di farmi capire o di uscire da questa situazione. Uno degli angeli deficienti mi porse un bicchiere ed io lo presi come faccio sempre e lo buttai giù. Persi coscienza e mi risvegliai con il solito odore pungente della spazzatura del bidone dei rifiuti dietro al bar. "Ecco adesso mi ritrovo" pensai soddisfatto e feci per alzarmi. Con la mano a tastoni trovai il bordo del cassonetto e sollevai la testa fuori. Era buio pesto. Tanto buio da sembrare ancora più buio della notte, un buio compatto. Mi spaventai e cominciai ad urlare.
Dall’ingresso posteriore del bar arrivò il trucido in persona a tirarmi fuori. "Sentimi bene Riccardino, se non la finisci chiamo il centodiciotto e l’unità psichiatrica mobile! Non si può continuare così hai capito?! E togliti quelle cazzo di lenti a contatto bianche che ti metti, quando sei completamente sbronzo te le dimentichi e ti spaventi! Tu mi sembri il Marilin Manson davvero!"
"Ma che l’hai visti te? Quello spilungo con i’ cappello e i’ pastrano? C’era pure la vecchia coi vestitini a fronzoli ..." ma il Truce è già rientrato nel bar a lavorare. Quando fa così so che per qualche giorno non mi devo far vedere perché gli metto il nervoso. Così, dopo essere rimasto qualche tempo con la schiena comodamente poggiata al muro, mi allontano e vado verso casa. Poi mi accorgo di avere qualcosa nelle tasche. È il solito libro vecchio e sdrucito.
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