martedì 30 ottobre 2007

I Ciechi - V

[Autrice: Alice]

I - II - III - IV - V


Il Truce mi salutò col solito cenno del capo da oltre il bancone.
Poche le persone nel locale.
Avevo fatto la strada a piedi, questa volta.
Durante il percorso non riuscivo a smettere di guardarmi intorno; scrutare ogni individuo; tentare di cogliere ogni movimento estraneo alla vecchia strada che separava la nostra casa dal bar.
Niente di diverso.
Il sole si intravedeva a tratti tra le nuvole fitte; dovevano essere le quattro del pomeriggio o poco più.
Ero confuso.
Mi resi conto che i miei movimenti si susseguivano solo per inerzia.
Presi il bicchiere già pronto per me sul bancone e mi appoggiai di schiena e con tutti e due i gomiti.
Ero indeciso se ripetere i gesti fino a ricostruire l’ultima immagine del bar che mi tornava alla mente, e allo stesso tempo incerto se ritenerla sogno o realtà.
Giravo la testa in ogni direzione da cui provenisse un minimo rumore, per poi tornare a fissare la porta dell’ingresso.
Raccapricciante quanto tutto mi sembrava normale: come se il tempo fosse tornato ad un anno prima. Aspettavo che Denise entrasse da un momento all’altro nel bar, i capelli sciolti a incorniciarle il visto e la sua solita allegria contagiante, il consueto bacio di saluto al Truce con un balzo sul bancone e poi di corsa da me, a riempirmi la testa con il racconto di tutta la sua giornata.
Mi resi conto di aver spostato lo sguardo sulla foto appesa alla parete, questa volta non riuscivo a vederla molto nitida. Non erano le lacrime che mi impedivano di mettere bene a fuoco: mi ero ripromesso di non piangere più, dovevo prima riuscire a capire. I miei occhi continuavano ad essere coperti da quella finissima patina che mi faceva guardare tutto con estraneità.
Agguantai il bicchiere e lo scolai d’un fiato, ne presi un altro e poi ancora un altro. Me li trovavo accanto al gomito senza nemmeno chiederli, li portavo alla bocca e ingurgitavo il loro contenuto con movimenti tanto scattosi quanto incontrollati.
All’improvviso, azzurro.
Mi ridestai come da un lungo letargo fatto di pensieri accavallati.
Fuori dal locale, sulla strada un ragazzo con una camicia familiare aveva appena attraversato la strada.
Precipitandomi d’impulso verso l’uscita, cominciai a correre dietro al mio obiettivo, ormai diventato un piccolo punto di cielo in fondo alla via.
Correvo talmente concitato da non rendermi conto dello sforzo enorme che stavano facendo le mie gambe.
Saltavo marciapiedi, scansavo passanti e automobili, dritto verso la meta.
Tutto intorno a me sembrava rallentato, pensavo a Denise ormai come un’ossessione: lei che mi fissava come in quella maledetta foto; mi chiamava, continuava ad essere la protagonista dei miei sogni angosciosi, cercava forse di trascinarmi con lei verso la luce?
Mi fermai. I punti azzurri erano diventati due e mi sembravano sempre più lontani ma immobili. Dietro di loro un monumento sontuoso, enorme, a forma di sfera. Quando il sole fece capolino da una nuvola illuminandolo notai che era completamente di vetro ed emanava un bagliore fortissimo.
Eppure non mi ero mai accorto della sua presenza in questa parte della città.
Le due figure di uomini si fermarono davanti a quell’apparizione luminosa, si voltarono verso di me ed entrambi, con un minimo movimento delle braccia fecero segno che li seguissi.
Mi incamminai incerto, tra turbamento, confusione, paura ed un’eccitazione quasi isterica, sentendomi del tutto inerme.
Tolsi il libro ingiallito dalla tasca del pantalone, lo fissai tenendolo chiuso.
Nella testa mi tornò a mente la frase pronunciata dall’uomo con gli occhi bianchi e scritta nel libro, incomprensibile, ma incisa dentro di me come una poesia imparata a memoria.

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