I Ciechi - III
[Autrice: Di Notte]
Fabienne mi aveva buttato giù dal letto alle sette per dirmi che doveva vedermi, in tutti i modi entro oggi. Fissammo per le sei, al bar del porticciolo. Ero in anticipo di qualche minuto.
Lui era seduto su una delle poltroncine di vimini sistemate intorno ai tavolini all’esterno del bar; l’estate era appena iniziata. Aveva un cappello cencioso, con una grande tesa. Immaginai che avesse un bel fisico, che fosse un bell’uomo. Dico immaginai perché aveva un trench lungo fin sotto il ginocchio che, anche se di cotone, trovai un po’ esagerato, vista la stagione. Notai che le mani, belle e affusolate, erano leggermente abbronzate; teneva le gambe accavallate e potei scorgere che anche le caviglie, che si intravedevano sotto il pantalone bianco, erano state baciate dal sole. Stava immobile con il viso rivolto verso il mare, oltre l’orizzonte. Gli occhiali scuri riflettevano le vele spiegate delle barche che navigavano lente e leggere di fronte al porto. Gli passai accanto, mi disse “Salve”. Risposi “Ci conosciamo?”. “Può darsi...” mi disse “il suo profumo non mi è nuovo”.
Io non uso profumo, risposi. “Appunto” disse lui “per questo l’ ho riconosciuta subito”. Mi parlò senza mai voltarsi. Non mi guardava ma mi sentii ugualmente osservata. Arrivò Fabienne, ci sedemmo al tavolo accanto, ordinai una spremuta e lei il solito americano, probabilmente il quinto o sesto del giorno.
“Cosa c’è di così urgente?”
“Ti stai allontanando, ho avuto ordine di parlarti per capire il perché…”
“L’ordine di parlarmi? Senti Fabienne, io voglio lasciare.”
“Non puoi andartene adesso, ti ricordo che hai giurato.”
“Lo so, ma sono confusa, aiutami per favore, non me la sento più di andare avanti. Non so più quale vita è la mia veramente. Il sogno e la veglia si incrociano di continuo, e io non so più chi sono… Doveva essere quasi un gioco e invece mi sta consumando.”
Il cameriere arrivò con le bibite, l’occhio gli cadde nella mia scollatura che, da una prima scarsa, in un mese era già una terza abbondante. Imbarazzante, non ci ero abituata: il “davanzale” non è mai stato il mio pezzo forte, gli uomini hanno sempre preferito il mio lato B. Mi aggiustai la camicetta – ormai troppo stretta - sul davanti e incrociai le braccia ma, invece di celare l’insolito gonfiore, ottenni un risultato tipo push up. Il cameriere fece un sorrisino di traverso, lasciò le bibite e lo scontrino e, finalmente, si levò dai piedi.
“Hai parlato col tuo bello, eh?”
“No, ti giuro. Però è sempre più difficile nascondere. Sta soffrendo per me. Ultimamente, quando la notte apro gli occhi per orientarmi, lui è lì che mi guarda. Mi sta osservando... Stamani mi ha detto che vuole sapere che mi sta succedendo, è molto preoccupato. E anche io lo sono... soprattutto adesso che...”
Fabienne mi fulminò con i suoi occhi viola
“Adesso che... Finisci, dai!”
“Aspetto un bambino.”
“Ah ah ah.”
“Perché ridi, smettila , mi stai facendo paura.”
“E brava la mia piccina. E lui lo sa?”
“Lascia perdere.”
“Glielo hai detto o no?”
“No... non ancora.”
“Non dirgli nulla, è inutile. Tu sai cosa devi fare. Vero?”
L’uomo del tavolo accanto ci chiese da accendere. Fabienne gli passò l’accendino. Il fumo della sigaretta mi solleticò il naso e mi dette fastidio... a me!, che fumavo due pacchetti di sigarette al giorno!! Quando l’uomo le restituì l’accendino, lei gli disse qualcosa sottovoce, non capii cosa e comunque non ci feci troppo caso: avevo altro a cui pensare. Fabienne tornò a guardarmi: “Allora?” mi chiese.
Mi sporsi col busto in avanti, le braccia appoggiate sul tavolino e le mani incrociate.
“Allora un bel niente! Ascoltami bene Fabienne... io lo tengo”, parlai scandendo bene le parole e guardandola dritta negli occhi con voce ferma ed un coraggio che non credevo più di avere.
“Sai bene che non puoi.”
“Certo che posso, basta che tu mi aiuti.”
“Non credo di poterlo fare. Sarà bene che ne riparliamo... “Si mise ad armeggiare nella borsa. “Tieni, questo è per te” disse “...ora devo andare.”
Mi porse un libro, vecchio e ingiallito. Lo rigirai tra le mani, sembrava scottasse. Guardai il titolo e iniziai a tremare. “Che vuol dire!? “ urlai a Fabienne che era già lontana. Non rispose. La guardai andarsene e provai un profondo senso di smarrimento. Avrei dovuto alzarmi e andarmene, invece decisi di fermarmi ancora un momento per calmarmi e riprendere fiato. Il sole tiepido del tardo pomeriggio mi accarezzava le guance, lo sciabordio delle barche appena mosse dal lieve movimento del mare mi cullava come una musica dal ritmo sensuale. Mi abbandonai sulla poltroncina, lasciai andare la testa all’indietro con la faccia rivolta al sole, chiusi gli occhi e le mani andarono da sole a posarsi sulla pancia ancora invisibile
“Non hai scelta.” La voce mi arrivò come un sussurro, direttamente nell’orecchio. Mi spaventai, avevo dimenticato la presenza dell’uomo con il cappello. Mi voltai di scatto e con il cuore in gola dissi: “Prego?” Avrei giurato che fosse ad un palmo dal mio viso, invece era ancora al suo tavolo. Si girò verso di me e si tolse gli occhiali. Rimasi come paralizzata nel vedere i suoi occhi: vuoti, spenti. Oddio! Era cieco! Il bicchiere che avevo in mano cadde ai miei piedi; mi abbassai per raccogliere i vetri e quando rialzai la testa, lui non c’era più. Non poteva essere sparito. Mi guardai intorno e lo vidi: stava camminando verso la fine del porticciolo, in mezzo a due ragazzi che lo seguivano, a testa bassa, ad un passo di distanza.
2 commenti:
hi,
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