domenica 2 settembre 2007

I Ciechi - I

I - II - III - IV - V

Non sono mai stato convinto che il primo incontro avvenne in modo del tutto casuale. No, non ero stato scelto a caso. Qualcosa dovevano pur sapere, o forse l'avevano intuito. Forse mi notarono già all'ingresso del bar, oppure no...
No. Ero già segnato da prima, da quando scesi dall'autobus. Forse addirittura da quando uscii di casa. Sì, forse fu allora che videro la mia faccia tumefatta dalla disperazione. E mi seguirono.

Bevevo da solo, in piedi, senza guardarmi attorno. Guardavo le foto appiccicate alla parete, la ricoprivano interamente come un enorme poster. In quelle foto la vita del locale era rimasta impigliata, aveva perduto qualcosa di sé, prima di trascorrere. Qualcosa di ancora vivo, di attuale.
La foto di Denise era al centro del collage, la fissavo cercando di animarla tra i ricordi. Tutte le altre immagini le ruotavano intorno, facce che si confondevano e svanivano come fili di fumo. La sua era nitida, ferma, con la risata e lo sguardo rivolti a me.
Sentii una presenza alle mie spalle, mi voltai. Erano due ragazzi, vestiti in modo troppo serio per il bar del Truce: camicia azzurra perfettamente stirata, due penne nel taschino, cravatta blu tanto lucida da sembrare di plastica. Mi sorridevano, con un sorriso inspiegabile. Non potevano sapere quel che mi era crollato addosso negli ultimi due mesi, ma se l'avessero saputo, se ad esempio fossero stati due conoscenti, due vecchi amici, avrei pensato che il loro fosse un sorriso di compassione.
Ma come potevano sapere.
Uno di loro aveva in mano un blocco per gli appunti, spesso e rigido. Feci per aprire bocca, non so bene per dire cosa. Immagino qualcosa di aggressivo: non era il momento giusto per socializzare. Ma prima che fiatassi, il ragazzo con il blocco mi toccò leggermente un braccio con la mano e mi sussurrò all'orecchio una frase che non riuscii a comprendere, ma il cui tono mi stupì, talmente era dolce e rassicurante, come una melodia creata apposta per sciogliere il dolore. Con gli occhi mi fece un cenno e mentre li seguivo verso l'uscita sentivo ancora la mano premere sul mio braccio, come se mi guidasse gentilmente. Come se fosse un gesto del tutto naturale, l'altro ragazzo mi prese il bicchiere e lo poggiò su un tavolo, poco prima di uscire.
Da subito, normalmente avrei reagito male, li avrei spinti, al Truce che sudava dietro al bancone avrei urlato che aveva due checche nel suo locale, di preparare subito due calci in culo. Invece niente, ero troppo ubriaco, troppo sconvolto per la morte di Denise.

E quei due ragazzi mi apparivano talmente sereni e sicuri. Poi c'era quella voce. Perché tanta dolcezza? Cosa mi aveva detto?
Fuori mi appoggiai al muro, il ragazzo che mi aveva parlato prese una penna dal taschino e cominciò a scrivere sul blocco, mentre l'altro iniziò un oscuro monologo. Rispetto a quella che mi aveva incantato, la sua voce era più dura, ma anche questa molto rassicurante. All'inizio non capivo nulla dei suoi discorsi, poi pian piano compresi che parlava del mio dolore, di quanto avevo sofferto, di come potevo liberarmi dalla gabbia che mi opprimeva, dovevo soltanto trovare la luce. La luce.
Come fai a sapere cosa provo? Quale luce? domandavo. Non faceva caso alle mie domande, che forse nemmeno pronunciavo, forse mi limitavo a pensarle, non ricordo. Comunque, presto non domandai più. Mi bastava ascoltarlo, e avevo l'impressione di stare meglio. L'ubriachezza mi abbandonava senza pericolo, senza panico. Ogni volta che spostavo lo sguardo verso il ragazzo che scriveva, lui aveva gli occhi nei miei e mi sorrideva, con la stessa compassione di prima. Ora però mi appariva del tutto comprensibile.
Tra i due ragazzi vidi avvicinarsi un'altra persona. Aperto sulla stessa camicia azzurra e sulla stessa cravatta blu, indossava uno strano cappotto lungo, di panno ruvido, troppo pesante, e un cappello la cui tesa larga e floscia nascondeva parte del viso. Nonostante fosse ormai notte, portava un paio di occhiali da sole. Si fermò a un passo da noi e rimase là a lungo, immobile, mentre il ragazzo continuava a parlarmi. I suoi discorsi si facevano sempre più difficili, pieni di allusioni, di simbolismi incomprensibili. Ma a me sembrava di stare meglio, grazie a quelle parole.
Il cristallo della salvezza è nel cuore della fiamma che arde in eterno, lo vedrai racchiuso nella sfera di luce.
L'uomo con gli occhiali strinse una spalla del ragazzo, che subito smise di parlare. Lui e il suo compagno si fecero leggermente da parte e l'uomo passò in mezzo a loro, avvicinandosi tanto a me che potevo sentire il calore umido del suo respiro. Sembrava mi odorasse. Fiutava con avidità il sangue di una preda. Poi si tolse gli occhiali da sole, lentamente, lentamente. Io non pensavo, avevo smarrito tutti i pensieri. Guardavo stupito quegli occhi. Erano completamente bianchi. Senza iride, senza pupille. Perfettamente bianchi. Eppure sembrava mi vedessero, che vedessero anche quel che io non riuscivo a pensare. Vieni con noi, mormorò l'uomo. E così feci.

3 commenti:

Di Notte ha detto...

Ma che bella sorpresa vedere che "I Ciechi" sono entrati nel blog !
Una amica, alla quale ho prestato la mia copia,mi ha detto: "quando l'ho letto la prima volta sono rimasta molto perplessa e ho pensato "mah! ammemipareunastron...." poi l'ho riletto e, ti dirò, mi è piaciuto".
Adesso attendiamo gli altri commenti, sono curiosa di vedere l'effetto che fa.
Salut
G

filsero ha detto...

Spero che almeno gli autori si faranno vivi, e soprattutto che non chiedano le royalties... ;-)

Tu sei la prima... bentornata!

Di Notte ha detto...

E' il mio destino: sono sempre arrivata prima... oppure ultima.
Mai seconda o terza, insomma una via di mezzo.
Eppure adoro le sfumature, anzi credo siano più importanti dei tratti decisi. Le sfumature rivelano cose che altrimenti andrebbero perse.
Devo ricominciare a scrivere... mi scappa !!