domenica 14 settembre 2008

Monologo di un uomo in prigione

“Scricchiola. Produce un suono fastidioso. Lo so che è la seggiola, solo e soltanto la seggiola, eppure io sono sdraiato sul letto.

Devo traballare. Devo muovere queste gambe, così schifosamente magre.

Qui puliscono. E’ la mia stanza e la puliscono a fondo. Che balordi. Ingenui. Però io poi pulisco le loro stanze. Balordo anche io. Mi alzo presto e la notte fatico a dormire. Potrei scrivere. In effetti potrei scrivere, ma non ne sono capace. Merda. Non ci riesco. Se solo potessi parlarle invece di scriverle. Se solo potessimo fare l’amore io e lei. Ancora.

La sedia scricchiola. Se non mi muovo sono finito. Perché poi comincio a tremare. Quegli schifosi spasmi. Freddo. Se solo mi riuscisse far ridere come prima. Buffone. Acrobata della buffoneria. Lei solo a guardarmi rideva. Che diavolo avrà avuto la mia faccia? Forse era anche il mio odore che la faceva ridere. Sempre pulito e profumato. Una volta le ho anche regalato un deodorante. Così, perché mi andava. Non che lei puzzasse, anzi.

Se io non ho tutto subito mi sembra di impazzire. Pazzo. Fuori di testa. Perdo anche qualche capello, eppure mio padre non è calvo. Se solo potessi tornare indietro farei tutto e subito. Sposarla e avere dei figli. Avremmo litigato, certo.

Sono intelligente ma non mi applico. Voglio litigare. Ho bisogno di litigare. E’ la furia che mi rompe il cervello. Così non impazzisco. Così dei rumori e dei sentimenti non me ne frega niente per un po’. Io sono solo una furia. Le nocche. Le mani. Sono solo tagli e sbucciature. Eppure lei adorava le mie mani.

Mi alzo. Sto. La furia e gli spasmi sono un “non posso più tornare indietro”. Scaltro. Pronto a riprendere tutto ciò che ho rubato. Perché prima di tutto ho rubato me. Invece lei ha rubato il mio cuore. Me lo ha incatenato quel cuore. E’ che se batte, batte in modo strafottente. Io sono strafottente. Ma anche furbo. Un asso.

Sto. Non cammino, non mi alzo, altrimenti mi viene fuori tutta la strafottenza.

Vivere i giorni come dei lunghi giorni. O come istanti. Lei sarebbe il mio giorno più lungo, se solo ne fossi capace. Che botte mi darei. Anche alle gambe. Poi mi racconterei una storiella o una barzelletta per farmi passare il dolore. Storielle inventate di sana pianta. A volte mi sono inventato anche la mia vita. Che tipo! Che buffone! Non oso guardare gli altri e gli altri non osano guardare me.

Le sigarette. Le avrò messe da qualche parte. Due, tre pacchetti sparsi. Che buffone. Se solo l’avessi capito prima. Se solo non mi fosse mancata la quotidianità. Ora non sarei qui. Scricchiola. Si muove da sola. Vorrei la mia pistola. E la parrucca che usavo. Che intelligenza. Non mi beccavano mai, ragazzi.

Se avessi la pistola adesso me la metterei in bocca. Buffone. Per fare uno scherzo a qualcuno.

Fumo. Bevo. Ma non l’hanno portata l’acqua. Maledetti. Io faccio finta di sputare. Disidratato. Gli punterei la pistola a loro. Ingenui.

Dopo aver fumato vorrei stare con lei. Lei non mi ricorda neanche lontanamente mia madre. Neanche mio padre. Lei non è me. Sono solo io che vorrei essere lei, ma non posso. Lei non vorrebbe essere me. Se potessi toccherei quel suo seno tenero e piccolo. Se potessi la lascerei libera. Questa stanza puzza. Lavare, pulire, mangiare il grano con le mani, a morsi, senza cuocerlo. Devo fare quei lavori. Domani. Adesso è tardi, ma forse prima di spengere la luce scrivo.

E’ un rischio. Corro troppi rischi. E sono pericoloso. Perché? Merda. Quella sedia la romperei in mille pezzi. Ma guarda che braccia. Niente muscoli. Però ne ho date di botte a quei bastardi. Se solo qualcuno osava: botte! Cazzotti e pedate. Poi che sapore acre sulle labbra. Puzzo di sudore, di sangue raggrumato. Pestato. Non vedere quasi più niente, con gli occhi talmente appannati. Colavano. Nascevano grosse tumefazioni. Che buffone.

Però la facevo ridere. Potevo cambiare voce. E lei rideva da non crederci. Viso mio. Viso caro.

Potrei farmi la barba. Magari una doccia. Ma poi qualcuno potrebbe dirmi che sono bello. Lei me lo diceva e quanto mi arrabbiavo io. Odio sentirmi dire che sono bello. Contegno. Riservatezza. Sfiducia di tutto. Tanto tutto è merda. Lei no però. Lei vive tra gli alberi. Non cade mai, ma so che piange per me. Grida per me.

Adesso dormo. Tanto non sogno e allora posso dormire. Scriverò domani. E poi domani e domani. Perché tanto non so se uscirò. Se farò. Se sparerò.

Dormo.

La sedia non scricchiola più…”

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Lo trovo originale, a metà fra l'onirico e l'istinto, dove le ripetizioni volute e la mancanza di chiarezza nella storia e nei pensieri del protagonista giocano a rincorrersi. Forse a sproposito, però a me riporta un po' a Bunker ed allo stesso tempo Boll. Può aver senso?

Mila ha detto...

Non ho letto niente di nessuno dei due. Ma evidentemente ora lo farò:)
Qualcuno mi disse una volta che c'era un'eco salingeriana...magari!

filsero ha detto...

Il filo narrativo sembra esploso in brevissimi flash, che si rincorrono sul testo: li attendo, eppure quando arrivano mi spiazzano, appaiono con parole e sensazioni oblique e vivide. Il racconto dell'uomo in prigione - del buffone e del delinquente, dell'innamorato e dell'irascibile - è un vortice che dura un minuto. Ma alla fine del suo monologo sembra quasi di averlo visto davvero muoversi o restare immobile accanto alla seggiola, comunque inquieto, e di comprendere appieno questa inquietudine. Il vortice si è ricomposto dentro di noi ed è facile vederci noi stessi, in quella cella (forse per questo ora sono anche io un po' inquieto? Cos'è che ho sentito scricchiolare??? :-)

Benvenuta su Apprendisti!

Mila ha detto...

grazie fil...che bel commento...

fabri ha detto...

molto bello...un senso di claustrofobia rabbiosa..che esplode a tratti..e che si confonde con i suoi sogni su un futuro che non si è realizzayo...

Mila ha detto...

Ciao fabri, piacere.
Grazie di aver letto il racconto e soprattutto di questo tuo pensiero.
Anche tu scrivi?
a presto
Mila