Si svegliò improvvisamente che non si era ancora fatta mattina. Una luce appena dorata penetrava dalle fessure socchiuse delle imposte mentre un vago senso di inquietudine si impadroniva lentamente di lui mano a mano che prendeva coscienza.
Che giorno era quello? E perché si sentiva così?
Strizzò gli occhi nel tentativo di distinguere nella fioca luce della stanza la data cerchiata in rosso che spiccava sulla pagina del calendario appeso alla parete di fronte.
11 agosto 1999.
Sì, non c'erano dubbi. Il giorno era quello ed era arrivato. Lo stava aspettando da settimane.
Ne sentiva l'afflato da quando giornali e TV avevano dato voce ad astronomi e scienziati e pagine e servizi erano state dedicate all'evento. E da allora aveva sentito nascere dentro di sé una sensazione di crescente e indefinibile angoscia.
Data funesta: alle 11 e 11 esatte di quell'11 agosto di fine millennio le orbite di sole, terra e luna si sarebbero allineate e quest'ultima, interponendosi tra i due corpi celesti, avrebbe proiettato un'ombra di morte sulla superficie del pianeta.
Già, di morte.
Gli sfuggì un sospiro profondo al pensiero degli oscuri presagi che il fenomeno portava inevitabilmente con sé. Un'aura di catastrofiche previsioni dal buio che precede la fine, la fine del mondo.
Pareva impossibile a credersi in una così bella giornata.
Si affacciò alla finestra.
In effetti era davvero una splendida giornata, il sole brillava sfolgorante in un cielo limpido e terso. Neppure l'ombra di un bianco fiocco spumoso ad intaccarne la superficie di cobalto perfetto. E il mondo pareva più vivo, la terra più animata del solito. Nulla che facesse presagire la fine.
Eppure…
Nel settimo mese dell'anno millenovecentonovantanove dal cielo verrà un grande re spaventoso a resuscitare il Re d'Angolmois prima che Marte regni felicemente", la quartina numero 72 della decima Centuria di Nostradamus parlava chiaro.
Oddio, chiaro… insomma parlava. E si lasciava interpretare. Eccome se si lasciava interpretare.
Il mese indicato come "settimo", infatti, sarebbe stato in realtà proprio quello di agosto dato che l'apocalittico frate preveggente avrebbe scritto quei versi in data antecedente il calendario Gregoriano e nel calendario giuliano usato in quel periodo, l'11 agosto corrisponde proprio all'attuale 29 luglio.
Non c'era da scherzare.
Non ci voleva certo un grosso sforzo di fantasia per capire che il riferimento era tutto per quell'eclissi di fine millennio. Era più immediato di altre volte in cui non era stato possibile ricollegare i versetti ai fatti se non dopo che questi si erano verificati. Ma poi tutto coincideva.
Inesorabilmente. Neppure una grinza.
E poi chi era quel re d'Angolmois?
"L'an mil neuf ans nonante neuf sept moins du ciel diendra vun grand Roy d'effrayeur…".
Il Signore dello spavento. Le parole gli rimbombavano nella testa amplificandosi e facendosi di volta in volta più cupe e minacciose.
Non c'era niente da fare. I versi del profeta non lasciavano spazio a nessuna più ottimistica interpretazione.
Nel momento stesso in cui il sole si fosse tinto di nero sarebbe stata la fine. Era scritto.
E come se ciò non bastasse gli astronomi avevano previsto proprio per questo stesso periodo l’allineamento della luna con i nove pianeti del sistema solare a formare una grande croce con la terra nel punto di intersezione e l'entrata di Marte nella costellazione dello Scorpione, suo domicilio diurno per il suo felice regnare.
Tutto concorreva a confermare quanto previsto da Nostradamus.
Anche Giovanni ne aveva parlato. Sì, Giovanni, l'Evangelista. Quello dell'Apocalisse.
E se lo aveva detto lui…
Narrava che all'apertura del sesto sigillo si sarebbe udito un gran terremoto, il sole si sarebbe offuscato tanto da apparire nero come un sacco di crine, la luna avrebbe preso il colore del sangue, le stelle sarebbero precipitate sulla terra come frutti acerbi di un fico scosso da un vento impetuoso, il cielo si sarebbe accartocciato come un rotolo che si riavvolge, monti e isole sarebbero scomparsi dai loro posti.
Roba da far tremare i polsi.
Si mise a camminare nervosamente avanti e indietro tentando di allentare la tensione che sentiva crescergli dentro.
*
Fu un attimo. Vide la massa dei ghiacci accumulata al Polo Sud scivolare verso l'equatore con travolgente rapidità e le forze della natura, perduto l'antico equilibrio, scatenare tutta la loro furia: i vulcani entrare in eruzione, onde altissime abbattersi sui continenti, uragani di incredibile potenza spazzare l'intero pianeta, centrali nucleari esplodere creando tutt'intorno deserti di morte. E grandi muraglie d'acqua colpire la terraferma e un altissimo e denso strato di cenere vulcanica oscurare il sole e venti potenti come uragani carichi di polvere, fumo e gas velenosi stravolgere l'atmosfera.
Scacciò dalla mente quelle immagini apocalittiche che si erano materializzate nella sua testa sulla scorta incalzante di quei suoi funesti pensieri ma ciò non lo fece sentire certo meglio.
Ripercorse tutta la sua vita fino a quel momento, ripensò alle tante cose fatte, a quanto aveva costruito e aiutato a costruire. Ai suoi figli.
Già, che ne sarebbe stato dei suoi figli?
Sentì dentro di sé ogni energia sgretolarsi come un biscotto tra le dita. Dopo tutta la fatica per tirarli su e per renderli autosufficienti…
Non che non gli avessero dato grattacapi. E che grattacapi…
E anche in quanto ad autosufficienza, a pensarci bene, non erano riusciti un granché. Se non era lì ogni minuto a controllarli con mille occhi finivano subito con il mettersi nei guai. E che guai…
E non sempre lui riusciva a trarli d'impaccio. Faceva del suo meglio, certo. Ma che diamine, aveva anche lui i suoi limiti.
Anche ora, come avrebbe potuto far qualcosa per salvarli? Era impossibile. In mezzo a quel cataclisma non ci sarebbe stato più alcun posto veramente sicuro.
Alzò gli occhi verso il grosso orologio che dominava la parete di fronte scandendo il trascorrere inesorabile del tempo. Le 11 in punto. Mancavano ancora pochi minuti soltanto e poi la luna avrebbe stretto il sole nel suo abbraccio mortale.
Decise di salire più in alto. Da lì avrebbe potuto seguire tutte le fasi dell'evento. Fino alla sua conclusione. Non restava altro da fare.
*
Ora la luna aveva già iniziato ad intaccare la sfera solare e sempre la superficie oscurata della stella andava aumentando.
Le 11 e 5 minuti. Il sole si era ridotto ad una lamina sottile, sempre più affilata mentre sulla terra l'aria si era fatta fredda e la luce spettrale.
Già gli uccelli avevano smesso di volare e non si udiva più nessun canto. I leprotti dei prati erano corsi a rifugiarsi tra la vegetazione, i cervi a nascondersi nel bosco.
Ecco uscire dai loro nidi le creature della notte. Pipistrelli alzarsi in volo, gufi e barbagianni posarsi sui fili elettrici tesi sopra le case, falene percorrere ubriache le loro orbite attorno ai lampioni che la calante intensità della luce, oramai del tutto smorzata, aveva fatto accendere.
Si alzò un vento gelido e sottile che penetrava fin nell'anima, acuendo quel senso di fine imminente che già si era impossessato delle menti.
Le 11 e 10. Ora mancava pochissimo. Ancora un piccolo scatto e la luna avrebbe ingoiato anche l'ultimo barlume rimasto. E sarebbe stato il buio. Totale.
Una frazione di secondo e l'occhio di luce scomparve, mentre lungo il perimetro del satellite un sinistro diadema luminoso ne incoronava il volto annerito.
Lunghissimi, interminabili secondi di silenzio perfetto. Non un verso, non un suono, non una parola. Tutto era immobile.
Poi…
Poi come era cominciato, lentamente, inesorabilmente, la luce si aprì un varco e dalla parte opposta da dove si era spento l'ultimo raggio di sole, un nuovo guizzo apparve.
Piano si formò uno spicchio i cui estremi andavano allontanandosi con il passare dei minuti fino ad aprirsi in un ampio sorriso. L'inchiostro che poco prima aveva dilagato tingendo di nero la superficie dell'astro si ritirava. Tornava la luce.
Gli uccelli ripresero a volare mentre il loro canto tornò a riempire l'atmosfera. I leprotti dei prati abbandonarono i loro rifugi tra la vegetazione, i cervi uscirono dalla boscaglia. Le creature della notte tornarono ai loro nidi. I pipistrelli rientrarono nelle grotte, i gufi e i barbagianni lasciarono i fili elettrici tesi sopra le case, le falene interruppero le loro orbite attorno ai lampioni che il ritorno della luce, che oramai aveva nuovamente invaso la terra, aveva fatto spegnere.
Il vento gelido e sottile si placò.
Guardò giù. Tutto era calmo come nei minuti precedenti l'eclisse. Nessuna massa dei ghiacci accumulata al Polo Sud era scivolata verso l'equatore con travolgente rapidità e le forze della natura avevano mantenuto l'antico equilibrio. Nessun vulcano era entrato in eruzione, nessun'onda gigantesca si era abbattuta sui continenti, nessun uragano di incredibile potenza aveva spazzato il pianeta. Le centrali nucleari erano intatte e anche il deserto era più vivo che mai. Nessuno strato di cenere vulcanica oscurava il sole e non c'era traccia neppure dei ventilati uragani carichi di polvere, fumo e gas velenosi che avrebbero dovuto stravolgere l'atmosfera. I mari erano calmi, le montagne immote.
Tutto perfettamente sotto controllo.
Grazie al Cielo era tutto a posto.
Dio tirò un sospiro di sollievo.
Anche per quella volta era andata bene. Scese dalla nuvola sulla quale era salito per osservare l'eclisse e andò a prepararsi per ricevere le preghiere di riconoscenza che gli sarebbero presto giunte per aver salvato la terra e a smistare i voti per grazia ricevuta e le offerte che gli uomini nel frattempo gli avevano tributato per il timore della fine imminente.
Sedette alla sua scrivania e si mise di buona lena.
Lo aspettava un duro lavoro.
martedì 10 giugno 2008
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L'eclissi del 1999 |
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